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La sfida è contribuire a definire la IA, non essere solo semplici utilizzatori

5 Gennaio 2024 Interviste

Il mio contributo (un po’ critico, lo ammetto) ai dipendenti regionali impegnati nella scrittura del progetto finale del Master in Public Management and Innovation della Bologna Business School, dal titolo Le frontiere dell’intelligenza artificiale a supporto della definizione e dell’attuazione delle politiche pubbliche nel sistema emiliano-romagnolo”.

Perché si parla tanto oggi di intelligenza artificiale? Non perché dal punto di vista software siano una novità assoluta le reti neurali capaci di “apprendere” e poi restituire “conoscenza”, ma perché iniziano a esserci esempi significativi e popolari di utilizzo di queste tecniche. Ciò accade perché da un lato c’è chi ha messo a disposizione di questi software risorse importanti di calcolo e memoria e dall’altro per la crescita degli ambiti concreti di applicazione. Già questa osservazione ci restituisce un problema: essersi accorti solo oggi delle tecniche di IA rischia di collocare anche la PA al livello del consumatore finale e non certo nel ruolo di chi ha una visione del futuro capace di anticipare le tendenze e mettersi dalla parte di chi definisce le nuove tecniche e non si candida ad esserne semplice utilizzatore.  

Accanto a questa criticità ne vedo un’altra altrettanto importante. Le tecniche di IA sono esse stesse risposte ad esigenze concrete, esigenze che normalmente preesistono, e non sono l’unica risposta possibile. L’interesse verso di esse è giustificato perché è possibile che, in diversi ambiti, dalla IA possano arrivare risposte innovative rispetto a quelle che sono ottenibili da sistemi software più tradizionali. Ma anche in questo caso, vedere l’esigenza e cominciare a investire sulle risposte disponibili di solito è un prerequisito per qualificarsi come avanguardia dell’innovazione e non come consumatori finali. 

Faccio un esempio concreto. Da molti anni disponiamo di dati sanitari riguardanti milioni di nostri cittadini. Averli resi disponibili al singolo cittadino nel fascicolo sanitario elettronico è certamente utile e meritorio. Ma quali altri usi sarebbero (e sarebbero stati da anni) possibili per implementare tecniche di medicina di iniziativa e sistemi di supporto alle decisioni dei medici curanti? Pensiamo solo alle analisi del sangue che periodicamente vengono fatte da tutti o quasi. Sarebbe (stato da tempo) possibile predisporre analisi su larga scala capace di evidenziare segni precursori di varie patologie e avvisare tempestivamente i medici di medicina generale per suggerire approfondimenti e visite specialistiche, intervenendo per tempo su svariate patologie croniche prima che esse si manifestino. Fra i vari esempi possibili cito quello dell’insufficienza renale, che rimane asintomatica fino a quando non è già ad un livello di gravità significativo. Quante persone potremmo trattare in anticipo, risparmiando loro (e al SSN) anni di dialisi? E tutto questo con algoritmi semplici e definiti dagli esperti. Se questo si fosse già fatto, oggi potremmo da subito chiederci se potremmo fare ancora meglio usando tecniche di IA, capaci magari di individuare correlazioni anche ulteriori rispetto a quelle note, valori e parametri non prevedibili e per questo sconosciuti agli stessi specialisti. 

Insomma, come si è capito, faccio fatica a fare la parte del politico che si comporta come un consumatore finale entusiasta e desideroso di usare ciò che il mainstream della tecnologia ci consegnerà in mano di qui a qualche tempo in termini di IA. Preferirei mettermi – come policy maker – nella posizione di chi ha una visione e guarda avanti, di chi vuole sperimentare e definire modelli, di chi vede l’IA come un tassello ulteriore rispetto ad una strategia che vogliamo definire e non subire. Sono cose che dico – purtroppo largamente inascoltato – da molti anni, e se avessimo investito in quella direzione da tempo oggi saremmo decisamente più avanti e credibili. 

Anche perché, lo dico a margine, non è detto che prendere la linea dagli USA sia la cosa migliore da fare in tutti i campi. Sulla sanità, per stare all’esempio, saremmo più noi come Regione Emilia-Romagna nelle condizioni di definire un nostro modello anche per l’aspetto del digitale e per la stessa IA. Un nostro modello, nostri dataset, nostre reti addestrate da usare direttamente e magari anche da esportare. Essere protagonisti e non solo semplici consumatori.

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