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Arriviamo al voto del 4 dicembre dopo averne sentite di cotte e di crude, soprattutto da parte di chi vuole che il voto sia “di pancia” per capitalizzare nel no alle riforme costituzionali le diverse istanze di malcontento. Sui social network girano bufale di ogni genere (un esempio tra tanti: questo) per seminare dubbi fra gli elettori e nascondere il fatto che la riforma proposta semplicemente concretizza l’idea di una Camera delle regioni e delle autonomie locali al posto dell’attuale Senato come doppione della Camera dei deputati. Se avete dubbi rileggetevi la tesi n. 4 dell’Ulivo (che risale alla campagna del 1995/96 per l’elezione di Romano Prodi), concetto peraltro poi ripetuto in molte altre occasioni. Ora, finalmente, votando Sì si può realizzare ciò di cui si parla da decenni, insieme ad altre semplificazioni e razionalizzazioni positive anche se certo non esaustive. Consiglio, per chi è interessato ad una approfondita analisi nel merito, la disamina della riforma pubblicata sul sito di PerDavvero.
Mentre non trovo fondata la posizione di chi vota no alla riforma costituzionale per avversione al governo o al premier (per esprimersi su quello ci saranno le elezioni), comprendo chi si oppone perché ha paura che uno snellimento delle procedure possa essere utilizzato in futuro da un governo sgradito per varare riforme che non condivide. E’ una posizione coerente (ma anche un vizio tipicamente italiano): preferire un sistema ingessato ad uno in cui il Paese possa essere governato. Viceversa, chi comprende la necessità che la democrazia ha bisogno sia che i cittadini possano scegliere chi li governa, sia che chi è chiamato a governare risponda del proprio operato senza dover sottostare (o dare la colpa) ad un sistema farraginoso e pieno di contraddizioni, votando Sì può contribuire a un passo avanti per il nostro Paese. Un passo avanti, nulla di più, ma sempre meglio che stare fermi o andare indietro. Ricordiamoci che è l’inconcludenza della politica che spinge verso esiti “alla Trump”, e temo che chi voterà No per timore di Trump non si renda bene conto che è proprio il No che rischia di favorire quella deriva.
(dalla newsletter del 30 novembre 2016)