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Il tema della povertà è purtroppo di stringente attualità. Viviamo in un mondo interessato da fenomeni di immensa portata, come la globalizzazione, l’innovazione tecnologica, le migrazioni, il cambiamento climatico. Fenomeni che hanno innescato trasformazioni su ampia scala, tuttora in corso, in settori chiave dell’economia, del lavoro, dei prezzi al consumo, con importanti risvolti in termini sociali e culturali. Nel nostro Paese tali cambiamenti, insieme alla stagnazione politica e alla conseguente mancanza di riforme – hanno avuto un peso importante nella lunga crisi economica culminata nel 2011. La stagione di riforme che ha caratterizzato gli ultimi tre anni, riportandoci dal segno meno al segno più in economia, è peraltro già a rischio. Ma questo è un altro discorso.
La povertà ci interpella, e richiede da parte nostra risposte adeguate. Di fronte ad essa, siamo anzitutto chiamati a condividere un pensiero comune, e a liberarci – se possibile – da illusioni, scorciatoie, strumentalizzazioni. Anzitutto, sarebbe una illusione terribile delegare completamente la soluzione al mercato, senza cogliere l’impetuosa crescita delle disuguaglianze che tendono a concentrare potere e ricchezza nelle mani di pochi e ad ampliare il divario che esiste fra essi e le moltitudini, causando l’aumento del numero di coloro che sono o si percepiscono poveri e con lo schiacciamento dei ceti medi. Parimenti illusorio sarebbe pensare di risolvere i problemi con un approccio puramente conservatore, come se le soluzioni trovate nel secolo scorso potessero continuare ad applicarsi anche nel mutato quadro economico e sociale, ovvero considerando le risorse a disposizione come se fossero una invariante. Infine, se l’approccio conservatore è inadeguato, a maggior ragione lo è quello che tende a spostare tutto quanto nella categoria dei diritti da esigere, ovviamente lasciando spopolata la categoria dei doveri. Dire che casa e reddito sono diritti di cittadinanza e quindi implicitamente affermare che ci si possa limitare ad esigerli non è una soluzione, e non soltanto perché mancano le necessarie coperture economiche.
E’ chiaro che casa e reddito sono elementi di base per vivere una vita dignitosa. Ma un conto è promuoverli per tutti, in un quadro coerente di diritti e di doveri, ben altro è immaginarli come semplice riscossione di un diritto di cittadinanza. Continuare ad affermarlo spinge verso una deriva culturale che si va diffondendo, e che non ci aiuta. Non dobbiamo stupirci se c’è chi pensa che sia un diritto occupare abusivamente le case sfitte e spinge persone in difficoltà a farlo, c’è chi li induce a rifiutare proposte per giocare al rialzo, c’è chi giustifica le occupazioni. E ancora: c’è chi pensa che verificare i requisiti di chi risiede in case pubbliche sia un inopportuno accanimento; c’è chi affitta un’abitazione e poi si fa assistere da avvocati specializzati in modo da evitare di pagare l’affitto senza per questo essere sfrattati. Gli esempi potrebbero continuare.
Anche sulla promessa di un reddito di cittadinanza corriamo, a mio avviso, analoghi rischi. E’ facile prometterlo per catturare consensi, ma il rischio è che passi un messaggio che invita a una deresponsabilizzazione. Dico di più: il rischio è assecondare la tendenza adolescenziale che sta contaminando da diversi punti di vista la nostra società. Ricorderete il giovane protagonista di “Jack Frusciante è uscito dal gruppo” che si chiede perché mai dovrebbe studiare sacrificando la propria serenità, se l’obiettivo finale è lavorare per guadagnare soldi che in fondo servirebbero proprio per divertirsi. Obiettivo che può raggiungere direttamente senza dover studiare e poi lavorare, ma semplicemente usufruendo delle risorse dei genitori. Il rischio è quindi proporre un reddito di cittadinanza come diritto esigibile rinunciando a inserirlo in un contesto di doveri e di impegni.
Il tema che pongo non è quello di non aiutare le persone che vivono momenti di difficoltà, che hanno perso il lavoro, che per vari motivi hanno bisogno di aiuto. E’ nostro dovere farlo, ma oltre al loro bisogno materiale dobbiamo prestare attenzione anche al bisogno di senso, di giocare un ruolo positivo all’interno della comunità. In questo ci viene incontro l’art. 1 della nostra Costituzione, quando ci dice che “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”. Questo ci ricorda che il primo aiuto da dare a chi, pur essendo abile, non ha un lavoro, è proprio quello di aiutarlo a trovarne uno e con esso il proprio posto nella società: diritti e doveri vanno insieme, è una questione di dignità. Bene quindi che la legge di cui stiamo discutendo contempli il finanziamento di progetti personalizzati di reinserimento, un modo per aiutare entro un orizzonte temporale limitato persone che vivono situazioni di difficoltà a rialzarsi e a camminare con le proprie gambe.
Per questo non apprezzo che si dipinga questo provvedimento come a una forma più o meno mascherata di reddito minimo. Non ho firmato il progetto di legge proprio per il dubbio che qualcuno voglia presentarlo come tale o spingere ad applicarlo in questa direzione. Ho presentato diversi emendamenti proprio per rendere chiaro che il progetto di inserimento di cui parla la legge non dovrà e non potrà essere un pro-forma, un pezzo di carta da interpretare come una mera esigenza burocratica. Manifesto fin d’ora l’intenzione di vigilare sull’applicazione della legge, e credo che si tratterà nei fatti di una sperimentazione. Stiamo impegnando su questo fronte una fetta significativa del nostro bilancio. Se riusciremo a realizzare uno strumento efficace per sostenere persone che si trovano nel disagio e nella povertà nel fare un cammino che consenta loro di uscire da questa situazione e tornare ad essere autosufficienti, avremo raggiunto l’obiettivo che ci stiamo prefiggendo e ne sarò felice. Viceversa, se questo strumento dovesse ridursi ad un surrogato di un reddito minimo, dico fin d’ora che in quel caso faremmo meglio a destinare queste risorse a modalità diverse e più efficaci per contrastare la povertà ed aiutare coloro che sono in situazione di bisogno.
[Testo del mio intervento in aula durante la discussione sulla
L.R. “Misure di contrasto alla povertà e di sostegno al reddito”]