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Sono passati 40 anni dall’approvazione della legge di riforma della psichiatria italiana, la legge Basaglia – dal nome del suo principale ispiratore – n. 180 del 1978, poi largamente ripresa nella legge istitutiva del Servizio Sanitario Nazionare, varata alla fine di quello stesso 1978.
La legge Basaglia fu una riforma radicale, che ha permesso di superare non solo gli ospedali psichiatrici ma anche tanti pregiudizi sulle malattie e i disturbi psichiatrici. Con quella legge ha preso avvio un processo non certo privo di difficoltà, con la complessità di dover mettere in campo risposte nuove e migliori ai bisogni di salute mentale, in modo da poter superare quelle fino ad allora tradizionali. Un cammino, lungo questi 40 anni, che va riconosciuto ed anche celebrato ma con la consapevolezza che c’è ancora tanto da fare, per non lasciare sole le persone in difficoltà e i loro familiari (il supporto ai caregiver è certamente uno degli aspetti più importanti su cui lavorare), e per costruire una rete di supporto e di cura efficace e comunitaria. Peraltro, la società evolve e i bisogni psichiatrici tendono non solo ad aumentare ma anche a caratterizzarsi in modi nuovi: siamo quindi davanti ad una sfida ancora viva ed aperta.
Sui 40 anni della legge Basaglia, fra le diverse pubblicazioni interessanti, segnalo un numero monografico di “Sestante” che potete trovare a questa pagina. Dell’articolo di “lettura magistrale” di Angelo Fioritti riporto qui di seguito le conclusioni:
Quarant’anni fa in Italia si realizzò una riforma di portata storica per la psichiatria italiana, ma con forte impatto su tutta la disciplina a livello internazionale. Lo sviluppo successivo dei servizi di salute mentale italiani ha seguito filoni comuni e strade diverse tra le varie realtà regionali finendo con il creare sistemi di salute mentale di comunità molto diversi tra loro. L’Emilia-Romagna ha avuto un ruolo nelle sperimentazioni pre-riforma, e per tutto il quarantennio successivo si è distinta per l’attenzione alla programmazione, la valorizzazione delle risorse umane e finanziarie, lo sforzo di integrazione tra pubblico e privato, lo sviluppo di meccanismi partecipativi innovativi, l’orientamento a livelli di specializzazione sostenibili, l’investimento in formazione, ricerca sui servizi e inclusione di pratiche basate sulle evidenze. La società attuale è profondamente diversa da quella del 1978 e soprattutto gli ultimi dieci anni hanno visto cambiamenti sociali ed economici di tale portata da mettere in crisi più di un sistema. Altri cambiamenti sono alle viste e richiederanno molta capacità di adattamento e di innovazione per allineare il sistema sui bisogni reali. Solo chi non innova rischia di perdere il proprio passato, e per la considerazione che abbiamo per il nostro passato, non possiamo permettere che ciò accada.