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L'invisibile disagio psichico indotto dalla pandemia

Venerdì 1 aprile si è tenuto in Regione il convegno “Covid-19, un invisibile disagio psichico”. Organizzato dalla dottoressa Francesca Rossi, dirigente psicologa presso il Policlinico S. Orsola-Malpighi, con l’associazione Dioscuri, il convegno ha visto un ricco panel di relatori nazionali e internazionali. Nel mio saluto di apertura ho sottolineato che il tema può essere visto da due punti di vista. Il primo è di attualità, perché abbiamo tutti bisogno di capire le conseguenze della pandemia in termini di tenuta psicologica delle persone. Il secondo è che possiamo considerare la pandemia una sorta di stress test del nostro sistema sanitario, che ci aiuti a riconoscerne punti di forza e punti di debolezza, così come la nostra capacità di dare risposte alla salute psichica della popolazione.

Il convegno, in effetti, ha affrontato entrambi gli aspetti, affermando che si è aperta una nuova fase del sistema di presa in carico della salute dei cittadini: i bisogni di cura, finora interpretati sul piano clinico ed epidemiologico, devono essere interpretati anche sul piano psicologico. Il Covid ci ha costretti a essere più flessibili, a portare le cure a casa (anche con le videochiamate o le telefonate), a cercare trattamenti più personalizzati, obbligandoci a ripensare i modelli di cura e a considerare le persone nella loro totalità, fisica e psicologica.

La salute mentale è uno stato che ha come vissuto interno un senso di stabilità. Il tempo che abbiamo vissuto, ferocemente segnato dalla pandemia, dai lockdown e da restrizioni, è stato, al contrario, incerto, volatile, insicuro, complesso e ambiguo. Tutte caratteristiche fortemente destabilizzanti, che hanno fatto emergere alcune paure legate al Covid-19 e bene illustrate dal prof. Paolo Scudellari durante il convegno. La prima: la fobia nei confronti dell’altro, che diventa portatore di un pericolo. Una fobia che ha rischiato fortemente di compromettere le relazioni e a cui ha fatto da specchio l’angoscia legata alla colpa di essere portatori di contagio, angoscia che abbiamo dovuto affrontare, ad esempio, nei confronti dei nostri parenti più anziani. Inoltre, siamo stati confinati in uno spazio “bunker”, quello della nostra abitazione; lo spazio intorno a noi si è ristretto e il tempo ha smarrito il suo nesso col futuro, è diventato un tempo incapace di progettare. Infine, noi siamo fatti di incontri che vivono nella naturale possibilità di toccarsi, di mettere il nostro corpo a disposizione del corpo dell’altro. Tutto questo è stato paralizzato dall’angoscia fobica che toccare l’altro possa farci morire.

Abbiamo vissuto paure forti, consapevolmente o inconsapevolmente. È bene accorgersene ed affrontarle. Ed è questo il lato positivo messo in risalto dal convegno, soprattutto per quanto riguarda i disturbi alimentari, aumentati enormemente durante la pandemia e dei quali è però aumentata anche la consapevolezza. Allarmanti i dati riportati dalla dottoressa Emilia Manzato, che ha segnalato disturbi alimentari molto più frequenti nelle donne e legati allo smart working, svolto la maggior parte del tempo in cucina. Alla mancanza di attività fisica, all’isolamento e alla noia come incapacità di restare da soli, in ozio, in contatto con sé stesse. Durante il lockdown, inoltre, il cibo è stato utilizzato come ansiolitico per abbassare l’ansia da Covid-19, tanto che una ricerca realizzata su circa 300 donne prese in carico per disturbi alimentari ha evidenziato per il 79% un maggior tempo dedicato al cibo, per il 70% una maggiore preoccupazione riguardo alle scelte alimentari, per il 50% un peggioramento delle relazioni tra amici e conviventi, per il 65% un aumento dell’ansia e per l’85% un aumento degli sbalzi di umore. Senza usare mezzi termini, lo psicologo Michele Rugo ha affermato che il Covid ha chiuso in casa le pazienti anoressiche e bulimiche con l’oggetto fobico che odiano di più: il cibo. Sono rimaste da sole con il loro “se stesse” che le angoscia.

Il macro-tema evidenziato dal convegno è, in sintesi, la nostra capacità di presa in carico della vulnerabilità delle persone. Siamo sempre più fragili ed è questo un argomento sul quale interrogarci profondamente. Va in questa direzione l’impegno della Regione a rafforzare la rete di servizi di supporto psicologico per rispondere al crescente disagio sociale provocato da due anni di pandemia, soprattutto nei bambini e negli adolescenti: da settembre saranno previsti due psicologi in ogni distretto sanitario e il reclutamento di altrettanti professionisti specializzati nella cura e trattamento delle patologie e dei disturbi comportamentali in ogni Casa della comunità. Ma abbiamo ancora tanta strada da fare.


Per chi fosse interessato, QUI c’è il video integrale del convegno con tutti gli interventi.

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