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Mi sono occupato di elettrosmog alla Festa dell’Unità, in un dibattito dal titolo “Aumento dei limiti delle emissioni elettromagnetiche e tutela della salute”, che si è svolto il 13 settembre sera. Ecco una sintesi del mio intervento.
Sono tornato a occuparmi di emissioni elettromagnetiche di recente, in una risoluzione di cui sono primo firmatario – firmata anche da diversi colleghi consiglieri regionali – che spero verrà presto discussa in Aula. Il punto di partenza sono due forze che spingono in direzione opposta: la prima forza sollecita il Governo verso l’innalzamento degli attuali limiti di 6 V/m, nell’ottica di garantire con maggior certezza il servizio pubblico offerto dai servizi di telefonia mobile; la seconda cerca invece di frenare l’innalzamento, in virtù dei ragionevoli dubbi che riguardano la tutela della salute. Nella risoluzione invito la Regione affinché solleciti il Governo a non innalzare i limiti: sono convinto, infatti, che tutela della salute e garanzia del servizio pubblico possano coesistene coi limiti esistenti. Per capirne bene le ragioni dobbiamo parlare di cultura, regole, partecipazione e pratiche. Andiamo con ordine.
Primo aspetto culturale: con 6 V/m parliamo di un limite specifico che è soglia di attenzione laddove sia prevista la presenza di persone per un certo numero di ore. Al di fuori della presenza continuativa di persone il limite è già adesso più alto: 20 V/m. Inoltre, i 6 V/m hanno già subito una modifica sostanziale, perché vengono misurati nella media delle 24 ore e non come valore di picco o media su pochi minuti. Questa modifica ha di per sé l’effetto di innalzare il limite: infatti, è naturale ci siano alcune fasce orarie in cui il traffico è scarso, ad esempio le ore notturne, e queste fasce orarie vengono compensate da altre di più intenso traffico, col risultato che il limite dei 6 V/m viene superato nei fatti senza che ciò venga evidenziato dai calcoli.
Un altro aspetto culturale riguarda le fonti di inquinamento elettromagnetico. Le antenne per la telefonia mobile sono le installazioni forse più diffuse, ma non sono le sole. Ci sono anche gli elettrodotti, e le stazioni televisive o radio: queste ultime emettono con potenze dell’ordine di grandezza delle decine o centinaia di kilowatt mentre le stazioni radio base per la telefonia mobile emettono a potenze dell’ordine di grandezza dei watt. D’altra parte il WiFi che troviamo a casa o negli uffici è nell’ordine di grandezza dei milliwatt.
Un ulteriore aspetto culturale – forse una falsa convinzione da sfatare – riguarda la distanza ottimale dalle abitazioni alla quale posizionare un’antenna: più distante è, meglio è, pensiamo. Anche in questo caso non è così. È ovvio che l’antenna è meglio tenerla abbastanza distante da non investirci direttamente con le onde elettromagnetiche a valori elevati, ma se per contro fosse lontanissima, allora questo comporterebbe che il cellulare avrebbe bisogno di funzionare alla massima potenza per riuscire a raggiungere il segnale, e quello è sempre vicino al nostro corpo.
Su quali edifici è meglio collocare le antenne? Se lasciassimo solo le regole a determinare i processi con cui vengono scelti i luoghi dove porre le antenne, otterremmo soluzioni non ottimali. Cosa che purtroppo accade nella pratica. Provo a descriverlo con un esempio. Mettiamo il caso di una zona di una grande città (come Bologna) dove coesistono gli uni accanto agli altri edifici alti e edifici bassi, ad esempio villette con quattro appartamenti e palazzi di sette piani con cento condomini. Se il gestore telefonico fa una richiesta al condominio del palazzo di sette piani, che peraltro sarebbe la scelta più ragionevole sia nell’ottica del servizio che della tutela della salute, si dovrà passare da un’assemblea di condominio, in cui – secondo le attuali regole – occorre l’unanimità. Se il canone annuo proposto, supponiamo, è di 10 mila euro, è facile che si trovi qualcuno fra i cento proprietari disposto a rinunciare (in buona fede, intendiamoci) a 100 euro pur di tutelare la salute dei propri familiari. E se tutti i palazzoni declinano, alla fine il gestore telefonico si rivolgerà ad una villetta con quattro appartamenti, dove magari abitano nuclei familiari imparentati tra loro e consapevoli del fatto che un’antenna sopra il loro edificio non comporti particolare rischio per la salute. La stessa cifra diviso quattro fa 2500 € a testa ed ecco che le cose cambiano, l’antenna viene installata nella villetta più bassa che magari è a fianco del palazzo di sette piani, che si ritroverà irradiato dalle onde elettromagnetiche di un’antenna posizionata troppo in basso, all’altezza del suo quarto piano. Questa è la dimostrazione che affidarsi solo alle norme non sempre porta alle soluzioni migliori: serve pianificazione, e partecipazione.
Quando ero amministratore della città di Bologna c’erano decine di comitati mobilitati contro la installazione delle antenne, in un clima non certo disteso. Abbiamo varato un tavolo di lavoro partecipato per cercare di tenere conto delle esigenze di tutti. Da un lato i cittadini e le cittadine, preoccupati per la salute collettiva; dall’altro le aziende di telefonia mobile, legittimamente interessate a garantire i loro servizi. Con il dialogo e la continua mediazione del Comune, abbiamo risolto problemi, anche mettendo a disposizione terreni comunali per l’installazione delle antenne nei luoghi ottimali in un’ottica di minimizzazione del rischio. L’amministrazione precedente (Guazzaloca) aveva varato una moratoria per cercare di tenere buoni i comitati, ma finita la moratoria era ripartito tutto come prima. Invece noi abbiamo scelto la via forse più faticosa ma sicuramente più fruttuosa: l’attuale regolamento per l’installazione delle antenne del Comune di Bologna raccoglie in larga misura l’eredità di quella esperienza. Sono convinto che solo con la partecipazione si possano raggiungere risultati utili per la collettività e che tendano al bene comune, perché la tutela della salute così come la garanzia del servizio di telefonia mobile non sono istanze che interessano soltanto i comitati contro l’elettrosmog ma toccano l’interesse di ciascuno di noi. E tocca a ciascuno di noi consegnare ai nostri figli un ambiente più salubre. Per questo non fa bene a nessuno fare la guerra tra chi vuole le antenne e chi non le vuole. In questa guerra, i gestori di telefonia mobile chiedono l’aumento dei 6 V/m perché dicono che se non si aumenta il limite bisogna mettere più antenne. Riflettiamo, forse è meglio avere più antenne con un’emissione più bassa e posizionate correttamente piuttosto che avere meno antenne che emettono alla massima potenza. Occorre ragionare in maniera complessiva, nell’ottica di trovare insieme il punto d’incontro. Ma sicuramente non serve alzare il limite, anzi dobbiamo puntare a stare decisamente sotto tale soglia.
Infine, vorrei parlare di buone pratiche che vanno incentivate. Ad esempio, occorre sostenere la diffusione della fibra ottica FTTH (Fiber To The Home) ovvero la fibra che arriva fino a casa. Le connessioni via filo sono le migliori e non inquinano. Siccome è chiaro che occorrono investimenti, ci sono alcune zone in cui è previsto l’intervento pubblico perché il mercato per pochi utenti non si muoverebbe a fare gli investimenti necessari. Eppure esistono zone molto densamente popolate, che sono state dichiarate “zone nere” ovvero lasciate completamente al mercato, dove però il mercato non sembra così orientato a procedere in tempi brevi e nel modo migliore. Ci sono zone in cui alla richiesta di avere una linea telefonica a casa si riceve la risposta che le centraline sono piene e viene offerta la soluzione di installare a casa un apparecchio con all’interno una SIM per potersi appoggiare alle antenne di telefonia mobile. Se la nostra Regione sta facendo tanto per garantire la fibra ottica nelle cosiddette “zone bianche” a fallimento di mercato, dove non c’erano operatori telefonici disponibili, forse stiamo facendo troppo poco per garantire che il mercato promuova la fibra e non lo sposti di fatto sulla rete cellulare: non è la stessa cosa e non è quello che vogliamo.
Un’altra buona pratica riguarda le emissioni dei singoli telefoni cellulari. A livello internazionale si sta cercando di definire i parametri di riferimento in modo coerente. Sarebbe corretto che tale valore (o tali valori) fosse indicato in chiaro al momento dell’acquisto, in modo tale che il consumatore sia informato sul livello di emissioni del telefono che sta per comprare e possa fare una scelta consapevole.
La mia esperienza come amministratore pubblico a Bologna mi dice che la strada da percorrere è quella della partecipazione e della minimizzazione delle emissioni. Non dobbiamo intendere il valore dei 6 V/m solo come il limite da non superare, ma dobbiamo minimizzare le emissioni puntando a valori decisamente inferiori. Vale a dire cercare di stare al livello più basso possibile di emissioni e allo stesso tempo avere un limite tutelante. È quello che chiediamo nella risoluzione, insieme alla necessità di tornare a misurare il valore delle emissioni sulla media di sei minuti e non nell’arco delle 24 ore. Sono convinto sia possibile garantire un ottimo servizio di telefonia mobile rimanendo all’interno di questi limiti e siccome è possibile bisogna pretenderlo. È possibile tenere insieme salute e tecnologia e sarebbe fuorviante dare il messaggio contrario. Non lasciamo che siano dinamiche di mercato a determinare l’esito di temi importanti quali la tutela della salute, mettiamoci in gioco come amministratori pubblici nel trovare insieme la soluzione ottimale, con la collaborazione di cittadini e comitati attenti e sensibili.
Sul mio canale YouTube c’è anche il video integrale dell’intero dibattito.