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Ieri Chiara Pazzaglia su Avvenire ha dato conto dell’epilogo positivo di una incresciosa vicenda. Nei mesi scorsi qualcuno si era accorto che nei documenti regionali relativi all’offerta del test genetico prenatale (Nipt) c’era scritto nero-su-bianco che lo scopo era “ridurre il numero di gravidanze portate a termine con la nascita di bambini con sindrome di Down, trisomia 13 e 18”. Adesso per fortuna quella frase palesemente eugenetica è scomparsa e si parla solo delle capacità diagnostiche del test prenatale. Vale a dire uno strumento di conoscenza che non implica alcun automatismo nelle scelte successive. Ora, sicuramente è positivo aver corretto quel testo, e va dato atto alla nostra Regione di non aver indugiato di fronte alla segnalazione. Ma certo qualche domanda ulteriore si pone, e trovo apprezzabile che Avvenire nell’articolo proponga con garbo diversi spunti di riflessione.
E’ infatti una ipotesi non del tutto peregrina che quella frase “incautamente” messa per iscritto rappresenti nella realtà la prima – e a volte l’unica – opzione che di fatto viene prospettata agli aspiranti genitori che si ritrovano con un risultato del test prenatale che prevede una possibile disabilità. E, più in generale, la questione ci riporta al tema del sostegno alla vita nascente, vale a dire al ruolo che la legge 194 assegna ai consultori quando prevede che essi operino “contribuendo a far superare le cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione della gravidanza”. Sappiamo benissimo che si tratta di un tema spinoso, pur a distanza di tanti anni dal varo della legge, perché ogni volta che si parla di questi argomenti scattano automatismi e tifoserie che non aiutano a rendere le strutture pubbliche luoghi effettivamente in grado di tener conto in modo ottimale dei diversi aspetti previsti dalla legge.
Per questo ho dichiarato che “resta aperto il tema di come riuscire a promuovere l’accoglienza alla vita, anche come capacità di aiutare concretamente a sostenere una gravidanza chi fosse in difficoltà e desideri un aiuto, senza che questa disponibilità ad aiutare possa essere percepita come una intromissione indebita”. Che vale per tutti, naturalmente, e in particolare per coloro che si ritrovano una diagnosi di possibile disabilità da un test prenatale. Il tema è aperto, e ci sarebbe davvero bisogno di una forte capacità di dialogo e di confronto per poterlo affrontare in modo concreto e positivo, evitando recinti e steccati che negli anni hanno contribuito a produrre frutti avvelenati come quella frase apparsa nei documenti ufficiali della Regione e ora opportunamente cancellata.