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Da qualche anno va diffondendosi la cosiddetta “Agricoltura Conservativa”, una tecnica produttiva basata sull’alterazione minima del suolo, la copertura del terreno con residui colturali e la rotazione delle colture. L’alterazione minima del suolo significa, in sostanza, rinunciare all’aratura del terreno, pratica che da sempre garantisce una naturale riduzione degli infestanti e dei parassiti. Purtroppo, in ragione della mancata aratura, può verificarsi un’elevata germinazione delle erbe infestanti, con la conseguenza di un maggiore utilizzo di diserbanti, e di comparsa di infezioni fungine, la formazione di micotossine e insetti dannosi, che portano poi all’utilizzo di fungicidi e altri prodotti chimici. Non è quindi del tutto sorprendente che risultino impegnate nella promozione dell’agricoltura conservativa anche aziende multinazionali di prodotti chimici per l’agricoltura, ovvero promotrici di prodotti transgenici che, come noto, si difendono dai parassiti grazie ad alterazioni del dna della pianta e dalla combinazione con antiparassitari.
La nostra Regione, tramite una specifica misura del Programma di Sviluppo Rurale (PSR) 2014-2020, in accordo con direttive comunitarie, promuove l’agricoltura conservativa con 4,8 milioni di euro, fornendo un sostegno a compensazione dei costi aggiuntivi e dei mancati ricavi rispetto all’agricoltura convenzionale, per la coltivazione di cereali, colture erbacee industriali e foraggere a ciclo annuale. Attenuare la lavorazione dei terreni produce alcuni effetti positivi in determinate situazioni (in particolare in ambienti collinari limita i fenomeni di erosione del terreno), ma ai benefici fanno da contraltare potenziali conseguenze negative, quale appunto un maggiore ricorso a pesticidi. Se in linea teorica l’agricoltura conservativa può ritenersi una pratica volta alla tutela dell’ambiente naturale ed alla protezione della biodiversità, nella pratica rischia di tradursi in una pratica che comporta un maggiore utilizzo di prodotti chimici.
Alla luce di ciò è lecito porsi delle domande. Per questo motivo ho presentato un’interrogazione (che potete leggere qui) per chiedere quali siano state le valutazioni, sotto il profilo della sostenibilità ambientale, che hanno condotto la Regione ad incentivare tale pratica. Ho inteso porre all’attenzione della Giunta il rischio che la promozione dell’agricoltura conservativa possa nei fatti porsi in contrasto con altre tecniche agronomiche innovative e di difesa delle colture volte a garantire la migliore produzione agricola con il minor uso di pesticidi, quali la produzione integrata e biologica, fondate sulle naturali interazioni tra organismi viventi, pedoclima e azione dell’uomo (e che escludono l’impiego di prodotti chimici di sintesi).
Ho appena ricevuto risposta alla mia interrogazione dall’Assessore all’Agricoltura (trovate qui la risposta), nella quale si ripercorrono puntualmente l’iter amministrativo e le relative fasi di monitoraggio e valutazione, disposte a garanzia della partecipazione effettiva di tutte le parti interessate e di un approccio consapevole da parte della Regione. Nella risposta si sostiene che non vi sono rischi connessi ad un maggiore uso di prodotti chimici nell’agricoltura conservativa: diciamo che è senz’altro un interessante contributo al dibattito in corso sul tema.
Scopo dell’interrogazione (e di questo mio post) è appunto un tentativo di sollecitare una riflessione, sulla base di opportuni riscontri, misurazioni e valutazioni, in merito alle prospettive future dell’incentivazione dell’agricoltura conservativa, anche in relazione al supporto alla produzione integrata e biologica. La risposta della Giunta rappresenta un contributo di conoscenza sulla questione, ma forse varrebbe la pena di verificare sul campo se l’agricoltura conservativa porti ad un aumento dell’uso dei prodotti chimici o meno. In generale continuo a pensare che una riflessione sia opportuna e mi riservo di verificare l’evoluzione delle politiche regionali finalizzate alla riduzione dell’impatto ambientale delle attività agricole.