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Lo dico da sempre: la questione del merito è la madre di tutte le battaglie da combattere per il bene dell’Italia.
Il merito delle persone: le scelte devono essere fatte sulla base del valore, delle capacità, delle competenze, dei risultati pregressi, dell’adeguatezza al ruolo.
Il merito delle questioni: è la sostanza che conta più di tutto, e deve venire prima dell’apparenza e della narrazione, non deve essere inquinata da processi alle intenzioni, deve presentare una intrinseca robustezza logica, deve valere ora ma anche e soprattutto in prospettiva.
La meritocrazia è di destra o di sinistra? No, dovrebbe essere un tratto comune e sentito da tutti coloro che hanno a cuore il bene comune. Se vogliamo, per la sinistra garantire a tutti le stesse condizioni di partenza avrebbe il significato di permettere ad esempio che il figlio dell’operaio possa diventare notaio. E per la destra parlare di merito sarebbe un modo per dimostrare che lo scopo non è semplicemente la conservazione dei privilegi a chi già li ha.
Il guaio purtroppo è che in Italia continua ad andare per la maggiore da un lato la tendenza a rifugiarsi nella logica degli amici degli amici e delle raccomandazioni (che sovente si infiltrano anche nelle pieghe di concorsi e valutazioni teoricamente meritocratiche), dall’altro la deriva verso un egualitarismo acritico e che rifiuta ogni valutazione (per paura che vengano usate in modo arbitrario, si preferisce farne a meno).
La conseguenza è il declino, che non è un rischio che corriamo ma la realtà ormai consolidata. Il merito è uscito dalla logica comune al punto che quando c’è da selezionare una persona si tirano in ballo le varie categorie dell’apparenza (meglio giovane o maturo, uomo o donna, esperto o nuovo e così via) perché dire che è una persona qualificata per fare quel lavoro sembra diventata una frase di cortesia che possa essere rivolta a tutti. E lo stesso vale per il merito delle cose, dove tanti ragionamenti sembrano iniziare dalla conclusione e poi raccattare argomenti purché sia, giusto per poter dire che che è una posizione meditata, anche se gli argomenti sono di qualità infima per non dire di peggio. E chi ascolta scrolla le spalle, con l’aria di chi sa che “se ne sentono tante”…
Il risultato è che i nostri talenti migliori non vengono selezionati in Italia mentre all’estero trovano le porte spalancate, così finiamo per perderli.
Il risultato è che qui se qualcosa non funziona, tutti pensano che sia sbagliata l’idea mentre nessuno si chiede se la concreta realizzazione sia stata all’altezza o meno.
Il risultato è che quando qualcuno parla di merito, tanti scrollano le spalle e pensano si stia parlando di una piccola categoria di privilegiati, gente che – invece di stare al suo posto e fare la fila come tutti – si agita e si lamenta, ma chissà poi che cosa abbiano di diverso. E nel pensare così non si rendono conto che se il loro capoufficio, il dirigente scolastico della scuola frequentata dai loro figli, il medico che dovrà curarli (e così via) vengono scelti non sulla base del merito ma con altri criteri, sarà un disastro per loro e molte altre persone, non solo per l’eventuale concorrente più meritevole costretto ad emigrare.
Il merito non è una delle tante questioni da risolvere per cambiare l’Italia: è la madre di tutte le battaglie.