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Gli scontri dei giorni scorsi attorno al tema del “green pass” hanno aspetti inquietanti su cui credo sarebbe opportuno riflettere. Ho già manifestato la mia solidarietà alla Cgil per l’ignobile assalto subito a Roma, e al sindacato nel suo insieme, la mia vicinanza alle forze dell’ordine impegnate a fronteggiare le violenze, e condivido l’idea che l’apologia del fascismo debba essere sanzionata in modo fermo. Ma, se sono evidenti i segni di infiltrazione di gruppi neofascisti in quelle manifestazioni no-greenpass, ricondurre tutto quanto a estremismo di destra è un modo per non cogliere il punto centrale del problema, che evidentemente non è quello.
Il punto centrale è la disponibilità di tanti a credere e a riconoscersi in narrazioni “alternative” e in punti di vista drammaticamente distanti da quelli “ufficiali” e sovente anche dal buonsenso. Qui per “ufficiali” intendo i punti di riferimento su cui converge la vasta maggioranza della comunità scientifica, quelli espressi dalla larga parte delle istituzioni, quelli riportati dai maggiori mezzi di informazione. Punti di riferimento che, nel caso specifico di cui stiamo parlando, vedono il vaccino come una risorsa e il green pass come uno strumento per poter riprendere le varie attività lavorative e sociali in condizioni di relativa sicurezza. Di fronte ad uno schieramento così ampio e convergente, stupisce che possano esserci così tante persone che si chiamino fuori e si riconoscano in narrazioni così lontane ed alternative, nelle quali il vaccino costituisce un pericolo e il green pass una forma di oppressione.
Al di là dell’argomento specifico, questa disponibilità a rifugiarsi in narrazioni “alternative”, più o meno inquietanti, costituisce un fenomeno su cui riflettere seriamente. Finché, per fare un esempio, il convegno dei terrapiattisti è un luogo di ritrovo per pochi pittoreschi personaggi e l’occasione per fare un servizio televisivo di costume è un conto; ma se ci fosse una manifestazione di piazza con migliaia e migliaia di terrapiattisti che protestano, allora sarebbero ben altre le domande da farsi. E purtroppo siamo sempre di più in questa situazione, come dimostrano anche vicende note a livello internazionale: basti citare il fenomeno QAnon e il suo impatto sulle vicende politiche USA e non solo. Anche in questa battaglia no-greenpass le informazioni “alternative” sono reperibili nei meandri della rete e in alcuni siti di controinformazione, viaggiano su collegamenti più o meno privati come canali Telegram, attraverso video condivisi su chat Whatsapp e che poi rimbalzano col passaparola, e così via.
La reazione di molti di fronte a tutto questo è di tipo punitivo, volta cioè a chiedere di individuare e spegnere le voci dissidenti. Qui ovviamente bisogna distinguere a seconda dei casi, perché non si possono mettere tutte le varie teorie divergenti sullo stesso piano, e comunque in ogni caso questa reazione non centra il problema. Infatti, è inevitabile che possa esserci chi, per mille motivi, esprime un pensiero divergente o istiga verso direzioni problematiche: il vero problema è che vi siano tante persone disposte a darvi credito. Questa è la domanda centrale, a cui tutti siamo chiamati a rispondere.
Quindi la domanda giusta non è come fare ad eliminare le ipotesi divergenti, bensì come fare a convincere le persone che credono a strane teorie a lasciarle perdere. Vale a dire, cosa può fare ognuno di noi perché questa contrapposizione frontale si trasformi in dialogo, in confronto, dove ci si ascolta, si portano argomenti, ci si lascia convincere dalle ragioni e non da posizioni preconcette? Facciamo già abbastanza per favorire questo clima di dialogo e di confronto? La risposta onesta è no, non stiamo facendo abbastanza.
La tendenza a comunicare assolutizzando un punto di vista e sminuendo tutti gli altri trattandoli come irricevibili è purtroppo sempre più diffusa. Così come l’abitudine ad usare due pesi e due misure, a seconda che ci si riconosca o meno nella parte in questione, con aspre critiche a comportamenti quando ad averli è qualcuno che non è della propria parte ed ampie giustificazioni quando è qualcuno della propria parte. Si attacca come fosse appunto terrapiattista anche chi esprime un pensiero che legittimamente è diverso dal proprio, anche su temi dove nessuno sarebbe autorizzato a brandire certezze come clave. Sarebbero davvero tanti gli esempi di argomenti che meriterebbero confronti e rispetto reciproco e su cui invece dilaga il muro contro muro, si preferisce lo scontro al dialogo e al confronto, il pensiero unico al pluralismo.
Complice una diffusa debolezza della politica, dove ormai l’apparenza occupa quasi tutto lo spazio, una debolezza dell’accademia, dove convivono a volte visioni agli antipodi senza che ci siano sufficienti occasioni di confronto, una crescente tendenza dei media ad essere sempre più espressione di una visione di parte e senza nemmeno preoccuparsi di raccontare i fatti senza distorsioni, sono sempre di più le occasioni in cui si ha la percezione che il pensiero apparentemente “mainstream” non la racconta del tutto giusta. Tanti cittadini, verificata l’inaffidabilità su qualcosa, arrivano alla conclusione che non ci si possa fidare su niente, e a quel punto sono aperti a credere ad ipotesi e teorie alternative, perfino a quelle più strampalate.
Ogni volta che un punto di vista pretende di imporsi con la forza anche su temi che richiederebbero rispetto del pluralismo delle opinioni – gli esempi che si potrebbero fare sono tanti, dai diritti civili all’inquinamento elettromagnetico – implicitamente si mina la credibilità delle voci “ufficiali” al punto che poi c’è chi non crede loro anche quando invece i presupposti ci sarebbero, come sui vaccini.
Quindi che fare? Lasciamo che sia il ragionamento a guidarci, ascoltiamo anche le motivazioni di chi ci appare lontano, proviamo a riscoprire il gusto del confronto, a vivere il pluralismo come una ricchezza e non come una complicazione da cancellare a priori. E’ questo il modo per riallacciare i fili del dialogo in una società che si sta invece frammentando e polarizzando su posizioni opposte, facendo emergere segni di disgregazione che dovrebbero preoccuparci e motivarci ad un cambio di atteggiamento.