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Nei giorni scorsi mi ha colpito la frase di un clinico che attribuiva al virus l’intenzione di adattarsi al proprio ospite per poterci convivere. La frase è di Matteo Bassetti, direttore delle malattie infettive al S. Martino di Genova, che ha invitato a non dimenticarsi “che lo scopo del virus, qualunque esso sia, non è quello di uccidere l’ospite che ha infettato (perché così facendo morirebbe pure lui rischiando di scomparire) ma quello di sopravvivere adattandosi all’ospite stesso.”
E’ interessante l’idea di attribuire al virus una psicologia, come se un organismo così basico e evidentemente non pensante potesse in effetti avere scopi ed intenzioni. Naturalmente in realtà qui si sta parlando di mutazioni e di selezione naturale: le varianti letali, uccidendo l’ospite o comunque costringendolo al ricovero, avrebbero meno occasioni per diffondersi delle varianti più benigne, in grado di circolare liberamente e di riprodursi perché i loro ospiti se hanno solo un raffreddore di certo non si fermano. Collegare l’effetto di una selezione evolutiva ad un pensiero, ad una psicologia del virus, è un artificio simpatico.
Sarebbe bello che fosse vero quello che Bassetti ipotizza, ossia che il virus sia già mutato diventando sostanzialmente inoffensivo. Troppo bello per essere vero! Infatti io ne dubito molto e, continuando a giocare sull’idea che il virus possa avere una sua psicologia, direi anzi che quel piccolo bastardo si sta nascondendo per stanarci. Aspetta che noi abbassiamo la guardia, convinti che la minaccia sia passata, per tornare a colpirci duramente.
Sono infatti preoccupato dal diffondersi dell’idea che l’emergenza possa essere serenamente archiviata. E’ un’aria che si respira un po’ dappertutto. Comprensibilmente stanchi per le lunghe settimane di quarantena, rassicurati dal fatto che i contagi stiano continuando a stare su numeri molto contenuti, ogni giorno che passa cresce il numero di coloro che trascurano di mettere le mascherine; cresce il fastidio con cui vengono accolte e malsopportate le disposizioni che fissano paletti e procedure; cresce l’arroganza con cui si pretende la ripartenza immediata di questo o quel servizio, anche quelli non proprio essenziali; ed oggi gli eroi sono coloro che o forzano o addirittura violano le disposizioni prudenziali pur di riuscire a (ri)fare qualcosa che causa virus era stato fermato. Addirittura si fa strada un nuovo negazionismo, di gente che ti chiede se la storia del virus non sia tutta una montatura e che sospetta che forse fosse solo un’influenza come diceva qualcuno in febbraio…
Perché dico che il virus potrebbe essersi nascosto per farci abbassare la guardia? Due sono le questioni principali che potrebbero influire. La prima è l’impatto della stagione estiva: pare certo che il sole e la temperatura abbiano un impatto sul virus, al punto che qualcuno ipotizza una sua stagionalità paragonabile alle influenze e ai raffreddori. In realtà i dati disponibili sui paesi caldi hanno evidenziato finora una minore velocità di crescita del contagio, quindi sarebbe prudente assumere che la bella stagione aiuti ma non che sia un aspetto di per sé risolutivo. La seconda questione, invece, è ancora legata alla matematica.
Quando a febbraio ci siamo improvvisamente accorti che il virus era fra noi (ricordiamo Codogno), la reazione che molti hanno avuto è stata quella di sottovalutarlo (ricordiamo #italianonsiferma). La crescita esponenziale dei contagi avvenuta subito dopo ha polverizzato questa sottovalutazione, e ci ha precipitati nella paura e nella quarantena. Ricordiamocelo bene, perché che il virus abbia una psicologia è una finzione dialettica, mentre che ce l’abbiamo noi popolazione è invece verissimo. Siccome la prima fase è stata la negazione, la seconda è stata la paura, ho già avuto modo di dire che la terza dovrebbe essere quella della responsabilità. Se invece prevale la fretta di archiviare l’emergenza e tornare alla normalità pre-covid, il rischio concreto è di cadere in una trappola.
Quando, all’inizio di maggio, sono cominciate le riaperture, tanti analisti si aspettavano una ripresa immediata dei contagi. Il fatto che non ci sia stata, induce tanti a pensare – in vari modi – che l’emergenza sia finita. Ma, estate a parte, potrebbe esserci anche un problema di numeri. Potrei spiegarlo in modo matematico, parlando del fatto che la progressione esponenziale sui numeri piccoli ha un andamento che se interpolato linearmente (come la nostra mente tende a fare) finisce per ingannare. Lo dico in un altro modo, che penso sia più semplice da capire: il 4 maggio non siamo tornati nella situazione del 20 febbraio, ma in quella di molti mesi prima. E’ ormai palese e riconosciuto che il virus, quando è stato individuato nel paziente di Codogno, fosse in circolazione da tempo: non a caso non si è riusciti a risalire al paziente zero. Se circolava, come credo probabile, da alcuni mesi, nel momento in cui è stato individuato eravamo già abbastanza avanti nella curva esponenziale, e infatti subito dopo il contagio ha dilagato costringendoci alle chiusure.
Dopo quasi due mesi di lockdown, l’infezione è tornata molto indietro. E quindi è vero che oggi la probabilità di incontrare il virus è più bassa (probabilmente paragonabile a quella di fine 2019), ma se la reazione fosse quella di smettere di adottare precauzioni e mascherine, perderemmo il vantaggio competitivo della prevenzione e fra pochi mesi torneremmo nella situazione di febbraio. Quindi davvero, adesso serve pazienza e costanza nel mantenere le precauzioni. Potremo proseguire nelle riaperture solo tenendo a bada i furori di chi pretende tutto e subito, e continuando con costanza a mettere a punto metodi e protocolli, e a rispettarli. Non diamogliela vinta a questo piccolo killer…