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Circa 6 detenuti su 10 hanno già dei precedenti penali, e il tasso di recidiva per chi esce dal carcere è superiore al 75%: sono numeri impietosi che chiariscono quanto sia faticoso il recupero sociale dei detenuti nelle strutture carcerarie esistenti. Esistono tuttavia percorsi educativi in grado di ridurre in modo notevolissimo la recidiva e di contribuire al reinserimento sociale dei carcerati. Queste tematiche sono state al centro di un’audizione in V commissione con il responsabile del progetto Comunità educante con i carcerati (CEC) della comunità Papa Giovanni XXIII e le referenti del Coordinamento teatro carcere Emilia-Romagna.
Il progetto CEC si ispira al modello delle carceri brasiliane senza guardie né armi gestite dall’Apac (Associazione di assistenza e protezione ai condannati). Si tratta di un programma alternativo alla carcerazione che ha l’obiettivo di far emergere e valorizzare, anche con la collaborazione di numerosi volontari, le potenzialità delle persone coinvolte per un pieno reinserimento sociale e lavorativo al termine del percorso. Il progetto interviene nella fase finale della pena e presuppone la volontarietà del detenuto di intraprendere un percorso educativo esigente, che gli consenta di prendere consapevolezza delle motivazioni che lo hanno portato a delinquere per iniziare un nuovo percorso di vita. L’Associazione, fondata da don Oreste Benzi, gestisce in Emilia-Romagna quattro case di accoglienza: a Forlì, Coriano, Saludecio e Taverna di Monte Colombo. Con il programma Cec, ha evidenziato il responsabile Giorgio Pieri, “la recidiva si riduce notevolmente, passando dal 75% al 15% circa, e i costi si abbassano considerevolmente, considerato che una persona in carcere costa 200 euro al giorno mentre nelle nostre case il costo è di 35 euro”. Questo modello rieducativo ad oggi non è riconosciuto e i costi, dopo una fase progettuale iniziale che ora è terminata, sono tutti a carico della Papa Giovanni XIII, motivo per il quale al momento usufruiscono di questo percorso solo 40 persone. I potenziali beneficiari, secondo quanto ci ha riferito il Garante regionale delle persone private della libertà personale Marcello Marighelli, sono più di 800. Il loro trasferimento dal carcere a queste strutture consentirebbe di abbattere notevolmente il tasso di sovraffollamento delle carceri della nostra Regione.
Il Coordinamento teatro carcere Emilia-Romagna, è invece un organismo che lavora per costruire una rete fra le realtà teatrali che operano nelle carceri della regione, favorendone la visibilità e le interazioni con il territorio. Aderiscono al progetto le strutture carcerarie di Reggio Emilia, Modena, Forlì, Ferrara, Ravenna, Parma e Bologna, sia la Dozza sia il carcere minorile, oltre alla casa di reclusione di Castelfranco Emilia. L’iniziativa coinvolge attori e registi professionisti e vede compagnie teatrali operare in carcere con attori detenuti. Ogni anno partecipano al progetto più di 150 carcerati. Per ogni programmazione le date, all’interno e all’esterno delle strutture detentive, sono circa 30-40.
Le esperienze e i dati riportati inducono ad incoraggiare queste realtà virtuose con risposte politiche efficaci, riconoscendo queste realtà e sostenendole finanziariamente. E’ assurdo che metodologie di comprovata efficacia ed economicità non vengano adeguatamente promosse. La V commissione si è impegnata all’unanimità a verificare la fattibilità di modalità di supporto, in particolare rispetto all’esperienza del CEC, cogliendo magari l’occasione dell’assestamento di bilancio del prossimo luglio.
Di seguito trovate l’integrale dell’audizione, che vale davvero la pena di rivedere.