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Siccome parliamo di scuola pubblica, dico subito che io ho frequentato scuole statali. Ricordo le scuole medie, si chiamavano Graziano, erano in via Lombardia dove ora ci sono i vigili e la scuola di pace. Nonostante parecchi bravi insegnanti cui sono tuttora grato, non godevano di una buona fama: la zona era problematica e, solo per dare l’idea, ricordo ad esempio che in quegli anni un cinno di prima media accoltellò un bidello a scuola. Quando arrivai al liceo (Fermi) il primo giorno di scuola una prof ci passò in rassegna, con entusiasmo calante: chi veniva dalle Rolandino, chi dalle Pepoli, chi dalle Farini e così via fino ad arrivare alle Guercino e qui il suo entusiasmo era ormai spento; ma quando imparò che in due venivamo dalle Graziano la prof fece un passo indietro ed ebbe un visibile fremito di paura.
Non so se è solo una mia sensazione, ma questi referendari non mi paiono equamente distribuiti in città: mi sembra che ce ne siano di meno nelle periferie popolari, tipo San Donato o zona Barca, e di più nei quartieri buoni tipo Santo Stefano. Chissà perché, ma se penso ai referendari mi vengono in mente immagini di mamme firmate, di professionisti affermati, di gente che è di sinistra più per vezzo che per necessità, per non parlare di attori e cantanti, intellettuali e personaggi vari, tutti benestanti quando non ricchissimi, che vengono a spiegare a Bologna cosa vuol dire scuola pubblica. Lo vengono a spiegare a me, che sono un convinto sostenitore della scuola pubblica pur avendo frequentato – o forse proprio per quello – scuole molto lontane dalle scuole-bene dei loro figli. Magari mi sbaglio, ma mi piacerebbe trovare sul fronte referendario qualcuno che come me ha fatto le Graziano, per poterlo guardare negli occhi e trovare insieme un modo per risolvere i problemi, senza bisogno di questa guerra fra poveri, sbagliata e pericolosa.
Ho vari amici nel fronte che voterà A, persone con cui continueremo a volerci bene e a rispettarci anche se sul referendum sosteniamo scelte diverse. Ma qui c’è davvero bisogno di parlare chiaro, vincendo la tentazione dei tanti tartufi che preferiscono defilarsi per schivare le bruciature. Perché in questa partita c’è molto in gioco: anzitutto i diritti dei nostri bambini ma anche il modo di intendere il riformismo, il concetto stesso di pubblico, il futuro di questa nostra città.
Quando andavo a scuola io c’era la guerra fredda, la DC governava l’Italia e il PCI governava Bologna: nelle scuole le cose non erano semplici e certi argomenti si preferiva evitarli. A Natale in casa mi parlavano di Gesù, a scuola solo di Babbo Natale. A casa c’era il presepe, a scuola l’albero. Mondi separati, una cosa non piacevole. Crescendo, ecco la traduzione politica: o stavi con la sinistra o con il centro (la destra allora era fuori gioco), che poi voleva dire con il PCI o con la DC. Neanche questa alternativa mi piaceva e per questo, dopo aver fatto politica ai tempi del liceo, non feci scelte di partito e mi occupai d’altro.
Poi cadde il muro di Berlino: l’apertura di prospettive prima impensabili, la caduta di steccati che c’erano da prima che nascessi, un’Italia pronta a girare pagina, sciogliendo il blocco che l’aveva ingessata per decenni e passando ad una democrazia dell’alternanza capace di rimettere al centro il bene comune e il merito delle questioni. Ora sappiamo che non tutto quello che speravamo allora è poi successo, ma qualche passo avanti c’è stato. Alla recita di Natale nelle scuole delle mie figlie (materna comunale prima ed elementare statale poi) comparvero tracce anche del Natale cristiano: nel modo giusto, spiegando che c’è chi crede e chi no (o chi crede cose diverse) ma coinvolgente per tutti sotto l’aspetto culturale. Un segno della fine degli steccati, la speranza di un mondo migliore, attento ed inclusivo, laico nel modo giusto. Alla prima recita in cui accadde ricordo che fui sopraffatto dalla commozione.
In politica, la stagione dell’Ulivo apriva uno spazio anche per chi come me era cattolico e di sinistra, senza essere costretto a scegliere a quale dei due aspetti rinunciare. Consentiva di mettere mano a nuove soluzioni, facendo sintesi e proiettandosi nel futuro. Di tenere conto dell’emergere del terzo settore, valorizzando volontariato, associazionismo, no profit. Di uscire dalla contrapposizione fra privatizzazione e statalizzazione, affermando il primato dell’operato sulle etichette, ovvero dove pubblico si definisce sul servizio fornito e non sulla titolarità della gestione. Il sistema scolastico pubblico integrato è questo: la scommessa che contributi diversi possano costruire un quadro d’insieme in cui riusciamo a riconoscerci tutti. Rigorosamente sotto la guida delle istituzioni pubbliche, e senza che ciò possa essere un alibi per il disimpegno di alcuno. E non possono esserci dubbi sul fatto che Bologna abbia le carte in regola sulle scuole materne, gestendo direttamente come Comune la percentuale più alta d’Italia di materne comunali.
E ora ci troviamo questo referendum, sostenuto da argomenti contraddittori e fuorvianti, che si dice a favore della scuola pubblica ma in verità è contro le materne paritarie, che invoca il rispetto della Costituzione che non solo dice una cosa diversa, ma che se fosse da interpretare come dicono loro metterebbe fuori gioco anche le materne comunali (anch’esse paritarie), un referendum che dice di reagire ai tagli della Gelmini ma invece di rivolgersi allo Stato – come eventualmente dovrebbe essere – se la prende con la città che ha in assoluto il tasso più alto di materne comunali. Un referendum i cui sostenitori riescono a dire che ci sono oltre 400 bimbi rimasti fuori dalle materne comunali e contemporaneamente a sostenere che gli oltre 1700 bambini che frequentano le paritarie private sicuramente continuerebbero a farlo anche aumentando loro la retta di 600 euro (l’effetto del taglio del contributo comunale). Come se quei 400 bambini rimasti fuori dalle comunali (gratuite) non fossero tutti o quasi ricompresi nei 1700 che frequentano le convenzionate (con retta calmierata dal contributo in questione), per non dire di altri che verrebbero messi fuori gioco dall’aumento della retta o che comunque chiederebbero di aggiungersi. Nelle comunali col milione tolto alle paritarie nelle comunali si darebbe posto solo a 150 bambini. E’ talmente evidente che la situazione sarebbe insostenibile che perfino loro dicono che si tratta di un segnale. Peccato che sia un segnale sbagliato.
Ma il peggio non è la fragilità degli argomenti o i numeri fasulli con cui viene sostenuto il referendum. Non è il quesito, talmente fuorviante che se fosse uno spot pubblicitario lo si potrebbe accusare di pubblicità ingannevole. Non è lo spettacolo indecoroso di partiti come SEL e M5S che cavalcano la protesta senza curarsi del fatto che i loro sindaci, dove governano, si basano sulle paritarie private molto più di quanto non faccia Bologna.
Il peggio è che è una battaglia per farci tornare indietro, per rialzare gli steccati di un tempo. A me fa lo stesso effetto che mi farebbe vedere una manifestazione in Germania che reclamasse di tornare alla divisione fra Germania Est e Germania Ovest.
Ecco spiegata l’insistenza sul fatto che le materne convenzionate sono quasi tutte cattoliche; la centralità dell’UAAR nel comitato promotore del referendum; l’entusiasmo dei nostalgici delle contrapposizioni del tempo che fu, come il segretario del PRC Ferrero che ha accusato il sindaco Merola addirittura di voto di scambio, e sul fronte opposto l’adesione all’opzione A dei gruppi legati a Casa Pound; la rivendicazione di una separazione netta che neghi alle materne paritarie private la definizione di servizio pubblico; la pretesa che i genitori che hanno figli in queste scuole paghino rette ancora più alte, restino là senza pretendere di accedere alla comunale gratuita (pena il collasso del sistema) e soprattutto non si lamentino del fatto che le tasse che loro pagano non vengano usate nemmeno in minima parte per tener conto delle loro scelte educative; il non tenere in nessun conto che c’è una bella differenza fra profit e no-profit, che si potrebbe ragionare di allargare e non di restringere, che le convenzioni sono anche un modo per imporre controlli e verifiche che altrimenti sarebbero molto più complicate: tutto viene sacrificato per schiacciare ogni espressione di diversità sotto l’appellativo – da pronunciare con un certo disgusto – di “privato”.
La crisi della politica è sotto i nostri occhi: vale per il Partito Democratico, che è lontano dall’aver realizzato ciò gli elettori e la storia gli chiedevano; vale per il centrodestra, dove la lunga stagione di Berlusconi ha impedito la messa a punto di idee e la strutturazione di un campo di forze conservatrici di stampo europeo. Siccome tutto questo avviene in mezzo ad una crisi in cui lavoro, pensioni, sicurezza sociale sono messe a repentaglio è chiaro che si apre uno spazio grande per il disagio e per la rabbia. E quando vai a scuola di tuo figlio e ti chiedono di portare da casa anche la carta igienica, è naturale, anzi forse è giusto, che ti venga voglia di urlare che così non si può andare avanti.
La battaglia a favore della scuola pubblica possiamo e dobbiamo farla insieme. Io ci sono. C’è il Comune di Bologna, che fa più di ogni altro Comune col suo 60% di posti nelle materne comunali. Ma questo referendum serve a distruggere e non a costruire, e ai tanti che in buona fede credono che serva a difendere la scuola pubblica dico attenti, pensateci bene: la vostra indignazione viene usata per farci tornare indietro. Questo referendum è una crociata che vuole dividere culture, idee e persone che si stavano incontrando nel nome del futuro. E le crociate possono essere molto pericolose.
E’ un bene che si sia mosso il Partito Democratico, a fianco del sindaco Merola per difendere i diritti dei bambini e la nostra idea di futuro: spero sia l’occasione per riprendere un filo interrotto, di comprendere che abbiamo cose buone da difendere e un futuro che ci chiama a fare molto di più e molto meglio. Nel sostenere l’opzione B siamo in compagnia anche di altri, perché la buona politica prevede che maggioranza e opposizione possano incontrarsi su valori condivisi, fermo restando l’essere su fronti opposti e destinati a competere nella democrazia.
Infine, ai genitori arrabbiati perché non hanno avuto il posto nelle materne comunali dico: possiamo e dobbiamo lavorare per dare una risposta al problema che segnalate. Ma la risposta è nella pace e nel dialogo, non nella divisione e nello scontro. Se c’è qualche erbaccia da togliere dal giardino, prendiamo la zappa e lavoriamoci: ma questo referendum è come usare una bomba al napalm e se vogliamo bene al giardino non è per niente una buona idea. Votiamo B perché, come la Germania è bene che resti unita, anche l’Italia – e Bologna – hanno bisogno di andare avanti e non di tornare indietro. Lasciatevelo dire da uno che viene dalle scuole Graziano.
[…] riportando un passo di questo straordinario post di Giuseppe […]