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Non basta certo un post per ricordare un padre, ma anche qui pubblicamente voglio dirgli: ti voglio bene papà, sei stato importantissimo, grazie per esserci stato e grazie al Signore per averti donato alla mamma, ai miei fratelli e a me, e a tutta la nostra grande famiglia.
Fra le cose che mi ha insegnato voglio ricordare per prima la serietà nel lavoro. Era nato contadino in un posto remoto del Cilento (peraltro bellissimo nel suo genere) ed aveva sperimentato su se stesso che l’unico modo giusto per farsi strada nella vita era quello dell’impegno, della serietà, della competenza che si forma prima con lo studio assiduo e poi col continuo aggiornamento, sempre con umiltà e mai con superbia. Un valore che aveva vissuto in modo quasi eroico, fatto di marce notturne con mio nonno e con l’asino per raggiungere il paese dove c’era la scuola, di anni passati in collegio durante la guerra, di studi universitari affrontati mentre già lavorava. Lo comunicava a noi figli – che certo abbiamo avuto un’infanzia assai più semplice – con vigore e con rigore. E lasciando poco spazio alle gratificazioni: quando portavamo a casa bei voti, il suo commento era semplicemente: “hai fatto il tuo dovere”. Ma sorrideva, e si capiva che sotto l’approccio burbero la preoccupazione era che non ci montassimo la testa. Lo applicava a se stesso per primo: quando si laureò in paese gli sarebbe spettato secondo tradizione il titolo di “don”, lui non aveva voluto, era rimasto semplicemente Angiolino. A Bologna ancora oggi ci sono persone che lo hanno conosciuto e stimato che continuano a ricordarlo non solo per la competenza ma anche per la disponibilità nei confronti di tutti.
Era invece intransigente sull’onestà, valore su cui non accettava mediazioni, e la sua sobrietà ne era una conseguenza. Servitore pubblico (era nella carriera direttiva dell’ASST, l’allora azienda statale di telefonia), il suo forte senso dello Stato si traduceva nella ricerca continua dell’interesse pubblico. A volte per questo risultava scomodo, ma anche chi mal lo sopportava non poteva non stimarlo per il fatto che applicava i suoi principi prima di tutto a se stesso. Lo faceva a volte in modo perfino esagerato: mi viene da sorridere pensando ai tanti appunti presi a penna sull’interno delle buste usate, che invece di buttare apriva e riutilizzava per risparmiare sulla carta bianca. Laureato in legge, era innamorato del diritto, che vedeva come uno strumento di tutela degli onesti e dei lavoratori. Si è sempre battuto, anche in campo ecclesiale, per l’affermazione della cultura della legalità e ricordo quanto apprezzò il documento della CEI “Educare alla legalità” del 1991, alla vigilia di Tangentopoli. Sarò in grado di essere all’altezza del suo esempio e dei suoi insegnamenti? E’ una cosa che mi chiedo spesso, più di quanto non ci si immagini… ogni volta che mi capita di prendere un taxi ho sempre il dubbio che lui avrebbe invece preso l’autobus, per esempio. I tempi che stiamo vivendo ci dimostrano quanto fosse attuale la sua sensibilità.
La sua attenzione al campo sociale e politico nasce su queste premesse, sul bene comune come riferimento di una società capace di essere giusta e di offrire a tutti la possibilità di esprimersi al meglio, senza trucchi e scorciatoie ma semplicemente sulla base dei meriti e dell’impegno. Fu attivo politicamente sia nell’esperienza dei nascenti quartieri (noi stavamo nell’allora quartiere Mazzini) che negli organi collegiali scolastici. Lo fece con grande passione, che certamente mi trasmise al di là di quanto ero allora disposto a riconoscergli, ma anche ponendosi dei limiti: pur essendo vicino alla DC, non si iscrisse mai al partito. Forse per il dubbio che i meccanismi interni non fossero tanto in linea coi valori in cui credeva, e forse proprio per la consapevolezza che non iscrivendosi non avrebbe fatto carriera: la sua priorità era la sua famiglia. Tra l’altro era molto attento alla formazione culturale, e ovviamente i primi che cercava di formare eravamo proprio noi figli.
In questo rapporto stretto e coinvolgente sia sul piano intellettuale che affettivo, io con lui ero alla ricerca continua di un equilibrio fra l’autonomia (da me molto rivendicata) e la vicinanza (praticata più di quanto fossi disposto a riconoscere). Così, lui era juventino e io interista. Lui considerava il liceo classico l’opzione migliore, io scelsi lo scientifico. Lui era laureato in legge ed eccelleva nelle discipline umanistiche, io presi la strada della scienza e della matematica. Scelte di cui non sono pentito e che lui accettò sempre con rispetto perché anche l’autonomia era un valore per lui. Mi sposai giovane, e uscii di casa. Come forse prevedibile, con la maturità caddero anche le fatiche nel nostro rapporto, ed ogni volta che ci vedevamo lui era un riferimento importante, mi dava consigli comunque utili anche quando decidevo di non seguirli completamente. La sua vivacità intellettuale, la sua curiosità, la sua intelligenza erano davvero un riferimento per tanti, e per noi figli in particolare.
Qui si innesta una coincidenza dolorosa. Per anni gli ho parlato di ciò che facevo, e lui ascoltava volentieri cose nel campo dell’informatica scientifica, anche se immagino che avrebbe preferito confrontarsi su temi più nel suo campo di competenza e di comprensione. Ad un certo punto ciò poteva finalmente accadere, quando io decisi di impegnarmi in politica. Era il 1999: nel marzo partecipai alle primarie del centrosinistra e successivamente a giugno fui eletto consigliere comunale. Quanto sarebbe piaciuto a lui potersi confrontare sui temi dell’impegno politico! E quanto mi sarebbe piaciuto e quanto mi sarebbe stato utile il suo aiuto nel discernimento su ciò che ho dovuto affrontare. Ma fu proprio allora, all’inizio di maggio, che lui ebbe un attacco di cuore e la manifestazione della malattia che non l’avrebbe più abbandonato. Una malattia che gli tolse prima di tutto la capacità di comunicare, colpendolo proprio dove erano maggiori le sue capacità. E che fra le altre cose tolse a lui e a me la possibilità di condividere la stagione del mio impegno politico.
In questi lunghi anni di silenzio, mentre il suo corpo deperiva e perdeva progressivamente capacità, lui ha coltivato in modo profondo la dimensione della fede e dell’amore. Come ha ricordato mia sorella durante il funerale, le ultime parole che è riuscito a dirci e che ci ripeteva volentieri finchè ne è stato capace sono state “ti voglio bene”: proprio lui, così avaro di complimenti (anzi, lui avrebbe detto smancerie). Lunghi anni in cui ha percorso il suo personale calvario, assistito con incredibile ed esemplare dedizione dalla mamma, e accettando con serenità e con fede il proprio lento consumarsi. Martedì scorso si è spento alla vita terrena, circondato dai suoi cari, e si è consegnato nel Signore Gesù alla realtà definitiva: Angelo di nome e adesso anche di fatto.
PS Curiosamente, dopo di me anche tutti i miei fratelli hanno fatto lo scientifico. Anche le prime nipoti hanno fatto scelte diverse, mentre la mia terzogenita ha scelto di fare il classico: sono sicuro che il nonno avrebbe apprezzato. Non so se è per questo che ha scelto di andarsene proprio nei minuti in cui questa sua nipote ha compiuto 18 anni.