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15 morti, danni per oltre 7 miliardi di euro, quasi 40mila sfollati, 23 fiumi esondati contemporaneamente, oltre 280 frane, di cui 120 particolarmente importanti, più di 100 comuni coinvolti, quasi 5 mila uomini e donne della protezione civile impegnati giorno e notte ad assistere la popolazione. Un’azione che ha visto anche azioni mai tentate prima, come quella di “invertire” le acque del Cer, il Canale emiliano romagnolo, per portarle nel Po al fine di salvare la città di Ravenna dall’allagamento. Causa inondazioni e frane, risultano totalmente chiuse 544 strade tra comunali e provinciali. Temporaneamente chiusi anche alcuni tratti delle linee ferroviarie che collegano la Romagna a Bologna.
Sono alcuni numeri dell’alluvione che in questo mese di maggio ha colpito l’Emilia-Romagna, in un bilancio fatto dalla vicepresidente Irene Priolo in apertura della seduta di ieri 24 maggio dell’Assemblea legislativa, che si è aperta con un minuto di silenzio per ricordare le vittime e si è conclusa dopo l’intervento finale del presidente Stefano Bonaccini. Numeri che colpiscono anche perché dietro ai numeri (anzi, davanti) ci sono le persone. Per questo ho cominciato il mio intervento in aula con un abbraccio solidale alle famiglie delle vittime e alle popolazioni colpite da questa catastrofe. E con un ringraziamento doveroso a tutti coloro che si stanno adoperando per fare fronte a questa emergenza: protezione civile, volontari, amministratori a tutti i livelli, dai sindaci, alla Regione, al Governo. Ognuno di noi è stato toccato da questa tragedia, abbiamo amici o conoscenti gravemente danneggiati dall’alluvione e viviamo il dramma di queste persone come se fosse nostro, quindi mettiamoci nelle condizioni di dare loro le migliori risposte possibili.
La prima cosa da fare è comprendere a fondo le dimensioni del fenomeno che abbiamo di fronte. Parliamo di 350 milioni di tonnellate (ovvero metri cubi) di acqua su un terreno già saturo di pioggio dopo una lunga siccità. Alla luce della comprensione della portata del fenomeno, siamo chiamati a rivedere e ripensare le scelte fatte. Serve un ripensamento complessivo, per affrontare una realtà che si presenta con misure del tutto nuove. Faccio un esempio: chi è stato a Saiarino, nella sede dell’impianto di sollevamento della Bonifica Renana, sa che quella centrale è stata studiata negli anni ‘20 del secolo scorso a partire dalle medie climatiche a disposizione allora e che oggi siamo chiamati a rivedere alla luce dei fenomeni che abbiamo di fronte. Il campanello d’allarme è suonato e non suona soltanto per l’emergenza in Romagna ma per tutta l’Italia: dobbiamo metterci tutti in discussione e chiederci se l’intera rete idrografica sia in grado di reggere la nuova dimensione dei fenomeni dovuti al cambiamento climatico, se quanto stiamo facendo per la prevenzione del dissesto idrogeologico sia abbastanza o se dobbiamo ripensare le misure in modo complessivo.
Siccome a Bologna disponiamo di grandi competenze e risorse di calcolo presso il Centro Meteo Europeo e col supercomputer Leonardo, serve studiare il modo ottimale per dimensionare la nostra rete idrografica, quali dighe costruire, quali alvei ampliare, quali opere realizzare perché un domani possa reggere la portata di fenomeni estremi.
Dobbiamo fare molto di più, farlo bene e farlo in fretta. E non solo noi, ma tutto il Paese, perché quello che è successo da noi potrebbe un domani capitare altrove. Ma per quanto potremo pensare e realizzare, occorre anche tenere conto che comunque ci sarà un limite. Cogliamo questa occasione per fare nostra la cultura del limite. È un’illusione pensare di riuscire a controllare completamente le forze della natura. Anche se riuscissimo – cosa che auspico – a metterci nelle condizioni di reggere portate d’acqua simili a quella che abbiamo sperimentato in questa occasione, ciò non ci garantirebbe dall’evitare eventi che vanno al di là della nostra capacità di previsione. La natura ogni tanto prova a ricordarcelo, come è successo ad esempio col reattore nucleare di Fukushima. Non siamo onnipotenti e non dovremmo mai dimenticarlo.
Ho concluso il mio intervento riconoscendo che non sempre nelle nomine che vengono fatte dalla politica, sia da parte nostra che da parte della destra, si riscontra l’attenzione alla competenza e alle capacità che in teoria dovrebbe essere l’elemento centrale della scelta. Se tanti – anche a destra – ricordano che è ormai tradizione individuare nel presidente di Regione il commissario cui affidare la ricostruzione successiva alle catastrofi naturali, sarebbe paradossale che in questa occasione non si scelga di affidarla al presidente Bonaccini, che ha già dato prova di saper svolgere al meglio il compito di commissario per la ricostruzione nel post terremoto, e ha le competenze e l’attitudine giusta per poter svolgere al meglio questo compito.