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Nel diventare nuovamente consigliere regionale, il 28 aprile scorso, ho subito dichiarato di essere contento per le tante persone che mi hanno sostenuto e che vedono così il proprio voto arrivare ad un risultato positivo con la mia elezione. Il giorno dopo, inviando la mail di aggiornamento che dalla primavera del 2012 mando ogni mese a chi ha chiesto o accettato di riceverla, ho promesso che avrei affidato ad un post un’analisi del voto e del mio risultato. Eccolo qua.
Non che sia facile tornare mentalmente alla competizione elettorale del gennaio scorso: sono passati pochi mesi, ma l’emergenza che stiamo ancora vivendo li dilata facendoli sembrare un tempo molto più lungo. E poi non mi piace il rischio di sembrare concentrato su me stesso in un momento in cui siamo chiamati a combattere il virus giocando di squadra, in un’ottica di vera comunità. Ma la pandemia è anche l’occasione per immaginare un futuro diverso dal passato che ci siamo lasciati alle spalle, per provare a ricominciare in modo nuovo. Ed è lo stesso punto a cui mi aveva condotto anche la mia personale vicenda politica.
Ovviamente la chiave di lettura più importante del risultato di gennaio rimane la vittoria della coalizione di centrosinistra guidata da Stefano Bonaccini, e in essa – a livello di squadra – il lusinghiero risultato del Partito Democratico, in particolare a Bologna. Ne ho già parlato subito dopo le elezioni, e qui non approfondisco. Se è evidente che i risultati di squadra sono il segno principale, quelli personali hanno comunque una loro rilevanza, perché oggi più che mai le persone fanno la differenza (nel bene e nel male).
Ora, per quanto mi riguarda, i numeri anzitutto: dopo quasi 8 anni da consigliere regionale (un mandato e mezzo), sono stato ricandidato dal PD nel collegio provinciale di Bologna. Ho preso 4264 preferenze personali, arrivando primo dei non eletti. A due mesi dall’insediamento, a seguito delle dimissioni da consigliere di Raffaele Donini, nominato nel frattempo assessore, sono entrato in Assemblea Legislativa.
Prendere voti di preferenza non è semplice, per nessuno. L’elettore deve scrivere sulla scheda il tuo cognome: non è poca cosa, soprattutto di questi tempi. I 788 candidati impegnati nella competizione elettorale regionale dell’Emilia-Romagna nei collegi provinciali da Piacenza a Rimini hanno raccolto complessivamente oltre 584 mila preferenze. A livello individuale, 34 persone hanno avuto più voti di me, ma per comporre i 50 eletti dell’Assemblea Legislativa i risultati individuali si devono incastrare con quelli di lista e col computo dei seggi. Così ci sono 6 persone che hanno avuto più preferenze di me e sono però restati fuori (ad esempio due amici come Giuseppe Boschini e Gigi Molinari, che hanno raccolto più di 5 mila voti rispettivamente a Modena e Piacenza), ed altri che sono entrati con risultati individuali molto più contenuti: l’eletto con meno voti di preferenza ne ha presi meno di un sesto di quanti ne abbia avuti io, ed in una ipotetica classifica delle sole preferenze si sarebbe piazzato 172esimo. A livello oggettivo dunque il mio risultato non lo definirei certo trionfale ma più che discreto, e diventa un buon risultato grazie al conseguimento dell’elezione.
Considerando però le condizioni in cui è stato conseguito, ritengo che si tratti di un risultato straordinario. Per spiegare il perché devo partire dal mio impegno nel PD, che da sempre è leale ma anche critico. Nella comunicazione elettorale l’ho spiegato con trasparenza, pur consapevole che non si tratta di un messaggio semplice da veicolare: se trovi l’elettore arrabbiato col PD, forse ti apprezza ma non ti vota perché sei comunque nella lista del PD; mentre il militante del PD magari ti stima, ma si orienta più facilmente verso i candidati più allineati e sostenuti dalla struttura territoriale del partito.
Su questa linea di lealtà critica e propositiva di un indispensabile cambiamento, negli anni passati ci eravamo ritrovati in diversi all’interno del PD. Insieme avevamo sostenuto Matteo Renzi alle primarie del 2012, quando nel PD non andava certo di moda come anni dopo. Insieme avevamo combattuto battaglie nei congressi provinciali, l’ultima a sostegno di Piergiorgio Licciardello nel 2017. La nostra area, che avevamo chiamato PerDavvero, aveva raccolto circa il 10% dei consensi all’interno del PD bolognese. Non abbastanza per eleggere un consigliere regionale, ma comunque un buon punto di partenza.
Peccato che, già in vista delle regionali, Matteo Renzi abbia lasciato il PD per fondare Italia Viva, e Carlo Calenda, che avevamo appoggiato alle europee del 2019, con Matteo Richetti abbia dato vita ad Azione. Entrambe queste formazioni hanno poi espresso e sostenuto candidati nella lista civica del presidente Bonaccini. Defluiti verso Italia Viva (e in misura minore verso Azione) una parte dei miei potenziali sostenitori, altre figure significative a me molto vicine, ritenendo evidentemente conclusa l’esperienza di gruppo, hanno deciso di appoggiare alle elezioni anche o soprattutto altri candidati. Infine, fra i candidati della lista, ho trovato amici che in parte pescavano nel mio stesso ambito culturale ed elettorale.
Ho corso così, senza il supporto di sindaci, di circoli (unica eccezione il mio circolo territoriale, il cui sostegno è stato naturalmente graditissimo), di parlamentari, di esponenti nazionali. Ho potuto contare sul sostegno di amici fidati con cui abbiamo condiviso tante battaglie, su una rete di relazioni con mondi associativi costruita negli anni e sul mio consenso personale. In queste condizioni, aver raccolto 4264 preferenze personali ed essere stato rieletto è stato un risultato straordinario. Mi pare giusto dirlo.