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Nell’intervallo dei lavori d’aula sono riuscito a fare un salto a casa e mentre mangiavo ho visto al telegiornale le immagini dei funerali e ho ascoltato il padre di Giulia Cecchettin che leggeva una poesia di Gibran. Credo sia difficile per ogni uomo perbene non identificarsi col papà di questa ragazza, così come con i papà di tutte le donne che sono state vittime di femminicidio o comunque oggetto di violenza. Soprattutto chi ha figlie femmine lo capisce: noi vorremmo essere in ogni luogo a difenderle come donne da ogni forma di violenza. Ovviamente da quella fisica, ma anche da quelle più sottili, psicologiche, quei modi di trattare le donne che non rendono onore alla dignità delle persone. Quindi è con questo in mente e col dolore, che credo sia giusto condividere, che dobbiamo tutti prendere coscienza che dobbiamo fare di più per affrontare il problema della violenza di genere, che non è mai giustificata e non è mai giustificabile. Quindi, ben vengano tutte le azioni volte a contenere e a reprimere. Io una quindicina d’anni fa ero assessore alla Sanità del Comune di Bologna. Insieme alla collega di allora che si occupava di pari opportunità, Milli Virgilio, mettemmo in pista il primo presidio nei pronto soccorso degli ospedali bolognesi, per poter intercettare ed accogliere le donne fatte oggetto di violenza e che si recavano nei pronti soccorso; esperienza che poi è cresciuta ed è diventata un protocollo che adesso si è esteso a tutta la regione. Ma certamente altro può essere fatto, ed è importante fare tutto quanto è possibile per reprimere.
Poi, sono d’accordo con quanto hanno detto anche altri colleghi: occorre andare oltre, cercare di interrogarsi su come possiamo asciugare il brodo di coltura che fa sì che possa andare avanti e arrivare fino a questi livelli una cultura di possesso e di sopraffazione, che andrebbe combattuta fino nelle radici. Nell’ordine del giorno che ha predisposto la collega Mori, firmato anche da altri colleghi, per esempio, si sottolinea come una svalutazione della donna nel campo della parità di genere – pensate ad esempio al tema salariale – possa portare a una cultura di svalutazione. Credo che questo sia un messaggio importante, insieme alla secondo me doverosa rivalutazione del lavoro di cura, che dovremmo essere in grado di affermare rispetto al lavoro direttamente remunerato in modo economico. Sono tutte riflessioni da portare avanti, però credo che si possono aggiungere anche ulteriori elementi, perché è una riflessione che deve avere il coraggio di individuare anche altri aspetti che non vanno bene.
Io, per esempio, credo che noi dovremmo dire parole chiare su una pornografia che è diventata evidentemente fruibilissima, a portata di clic, anche da parte di bambini e bambine, di soggetti molto giovani. Non credo che faccia bene neanche a chi è più grande di loro, ma in particolare nella minore età è assolutamente necessario che i messaggi abbiano una valenza educativa. Non mi riferisco però solo alla visione dei siti a luci rosse, c’è anche un linguaggio che esce da questo. Io l’altro giorno mi sono trovato una pubblicità su Facebook, quindi con un’immagine che ha passato tutti i filtri di controllo, in cui una pellicola a luci rosse che veniva pubblicizzata con le parole di una protagonista femminile che si dichiarava distrutta dopo aver dato piacere, tra virgolette ovviamente, a decine di uomini, e mi chiedo quanto questo tipo di messaggio sia un messaggio che aiuta a costruire una cultura che non sia appunto una cultura di possesso e di sopraffazione.
Io credo che dovremmo interrogarci su qualunque forma di mercificazione, qualunque messaggio che possa far pensare che è disponibile una mercificazione dei corpi femminili. Io credo che non aiuti nella battaglia per sostenere e affermare la dignità della donna. Questo è il motivo per cui io credo che lo svilimento insito nella prostituzione vada combattuto. In qualunque forma di prostituzione, anche quelle legali, perché l’idea di poter comprare è certamente una idea che implica una oggettificazione, una mercificazione. Così come penso che l’intrinseco svilimento della maternità che c’è nella maternità surrogata vada riconosciuto e combattuto come una forma di svilimento, dei corpi e delle persone, delle donne.
Credo che dobbiamo riflettere attentamente sull’educazione dei figli e non soltanto per le questioni direttamente collegate al genere. Dobbiamo riuscire davvero a comunicare ai bimbi che crescono che non è il possesso, non è l’avere, la chiave della felicità, ma sono piuttosto la generosità e l’altruismo. Sono questi gli elementi che rendono possibile l’amicizia più vera. Occorre riuscire a educare comunicando che occorre saper accettare anche le piccole sconfitte, perché è più importante essere che avere, essere che apparire. Sono questi i messaggi che, fin da piccoli, sarebbe importante dare per evitare di crescere persone che si illudono di poter possedere tutto ciò che desiderano e che, se qualcosa sfugge a questo desiderio, in qualche modo possa generare un qualunque tipo di reazione.
Credo che da questo punto di vista vada fatta attenzione anche a combattere la battaglia dei diritti, riuscendo sempre a tenerli affiancati ai corrispondenti doveri. Perché una battaglia dei diritti che non tenga insieme anche i doveri, rischia di costruire un orizzonte di conflitti che poi sono difficilmente sanabili nella pratica. Credo si debba anche porre attenzione al fatto di sottolineare, quasi come fosse l’unica chiave della felicità, la possibilità di autodeterminarsi. Certo, la libertà è importante e non voglio assolutamente sminuirla, però, se tutti possiamo autodeterminarci, il rischio che corriamo è quello di un universo di solitudine in cui ognuno si autodetermina e poi fa fatica ad incontrare l’altro. Invece, va affermato con forza che la felicità vera è proprio nell’incontro, nella relazione, nella complementarietà, nell’amicizia, nell’amore.
Anche sugli stereotipi, che sono stati ricordati come elemento da combattere, c’è una riflessione che abbiamo già fatto insieme a diversi colleghi che erano qui anche nel mandato precedente, a proposito della legge che abbiamo varato contro le discriminazioni basate sull’identità di genere e sull’orientamento sessuale. E lì abbiamo detto con chiarezza che dobbiamo combattere gli stereotipi discriminatori. Perché gli stereotipi in fondo sono modelli, quindi è certamente giusto combattere i modelli sbagliati, come è giusto, secondo me, promuovere modelli positivi. Noi abbiamo davvero bisogno di nuovi modelli positivi. Ben venga un modello positivo di un uomo che non si sogna di fare nessun tipo di violenza sulle donne, sulla propria donna e su tutte le donne in generale, in nessuna forma, né fisica, né psicologica, né col linguaggio iper-sessualizzato e allusivo, che a volte purtroppo viene giudicato un peccato veniale e non viene sufficientemente represso. E in questo va davvero fatto un appello ai tanti uomini perbene perché intervengano per fermare i propri colleghi, i propri amici, le persone che hanno intorno, da indulgere a questo tipo di attenzioni, che sono la maggior parte delle volte assolutamente non desiderate e pesanti per le donne che ne sono fatte oggetto.
Lo ripeto: secondo me basta sempre pensare di trattare ogni donna che incontri come fosse tua figlia o come vorresti che fosse trattata tua figlia e hai immediatamente una chiave di lettura molto chiara ed evidente di quale dovrebbe essere il tipo di comportamento da tenere. Se fosse così diffuso il fatto che ci fossero uomini non violenti al punto da diventare stereotipo, allora ben venga. Ben venga uno stereotipo “positivo”, che afferma un valore positivo di un modello che vogliamo promuovere. Quindi, nel combattere, evidentemente, contro gli stereotipi violenti, discriminatori e sbagliati, contro i modelli anche sottilmente sbagliati, proviamo a promuovere invece modelli diversi, che possano affermarsi e che siano utili.
Concludo dicendo che, oltre ai tanti “no” che dobbiamo dire, dobbiamo sempre ricordarci di dire anche un “sì”, e il “sì” più importante è quello all’amore vero, che non è desiderio di possesso, ma è capacità di dono e di sacrificio. È il riconoscimento della bellezza dell’incontro. È consapevolezza, e lo dico da uomo, della profondità della relazione con le donne, che è possibile scoprire soltanto guardandole come persone e non come oggetti. È la scoperta della bellezza, della complementarità e della sinergia dell’universo maschile e dell’universo femminile. È questa affermazione che può e deve essere il vero contrasto a un futuro che altrimenti ci potrebbe riproporre episodi tristi come quelli che stiamo in questo momento giustamente ricordando e condannando.
(Intervento in aula il 5 dicembre 2023 in occasione dell’informativa della Giunta sul tema delle violenze di genere)