Occorre che la sanità vada incontro ai cittadini senza aspettare che si ammalino, con screening e percorsi di prevenzione personalizzati. Finora gli screening sono stati pochi e generalizzati, molto costosi pur se molto importanti. Ma abbiamo ormai una quantità di dati sulla salute dei cittadini che possiamo gradualmente passare ad uno schema di prevenzione personalizzato, che mira i controlli non solo in base al sesso e all’età ma a dati clinici ed epidemiologici precisi.
Con una base informativa che consenta di monitorare la situazione, si potrà e si dovrà fare di più per garantire l’appropriatezza sia delle indagini diagnostiche che delle scelte terapeutiche, coinvolgendo in un cambiamento culturale sia la classe medica che i cittadini. Si potrebbe accelerare la definizione di linee guida mediante commissioni con mandati a tempo eal tempo stesso definire una strategia per effettuare controlli seri e calibrati. La strada maestra per il miglioramento delle liste d’attesa è questa.
Per educare i giovani a stili di vita sani occorre fare di più in termini di formazione, e credo che varrebbe la pena di portare come esempio l’esperienza dei donatori e del volontariato sanitario. Perché chi sta bene può farlo non solo per aiutare se stesso, ma anche per aiutare gli altri.
Possiamo favorire la socialità degli anziani che cominciano ad avere problemi di autosufficienza non solo con un potenziamento dell’assistenza domiciliare, ma anche attraverso una tecnologia capace di mettere in rete anziani, associazionismo e servizi socio-sanitari e di favorire i contatti fra le persone (vedi il progetto Oldes).