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Le ragioni del mio no a suicidio assistito ed eutanasia

19 Febbraio 2024 Riflessioni

Nei giorni scorsi la Regione Emilia-Romagna è stata al centro del dibattito sul suicidio assistito. La Giunta regionale ha infatti approvato una delibera istitutiva di un comitato etico regionale e linee guida finalizzate all’applicabilità di quanto previsto dalla sentenza 242/2019 della Corte Costituzionale. Negli stessi giorni c’è stato un passaggio in Assemblea Legislativa col rinvio in Commissione della proposta di legge regionale di iniziativa popolare promossa dall’associazione Coscioni.

Sono da sempre convinto che occorra dire no da un lato all’accanimento terapeutico e dall’altro al suicidio assistito e all’eutanasia. Fra questi due estremi, entrambi  da evitare, c’è una zona intermedia che riguarda da vicino il rapporto fra medico e paziente, i familiari e le persone care che si spera siano attorno alla persona chiamata ad affrontare la fine della propria vita. Come ausili che popolano questa zona intermedia troviamo anzitutto le cure palliative, poi lo strumento delle dichiarazioni anticipate di trattamento, e inoltre si possono fare ulteriori approfondimenti per meglio comprendere i confini di possibili forme di desistenza terapeutica e di ogni altra decisione che impatti sulla sofferenza e sulle condizioni di questo delicato passaggio. Ma, a mio avviso, non è accettabile né necessario giungere a permettere una deliberata soppressione della vita.

Non ho mai nascosto la mia contrarietà a suicidio ed eutanasia, e quindi anche alla proposta di legge promossa dall’Associazione Coscioni. Per dirla in modo simmetrico a quanto correttamente dichiarato dal Presidente Bonaccini, sono contrario al suicidio assistito ma ho rispetto per chi è favorevole, e in particolare per i colleghi che hanno firmato la proposta di legge o hanno dichiarato la propria condivisione. Credo che il clima di rispetto reciproco che c’è fra noi consiglieri regionali emiliano-romagnoli sia un patrimonio importante per la politica in generale e per il PD in particolare. So che qualcuno crede che posizioni come la mia siano zavorre che eliminerebbe volentieri dal PD per poter correre più agevolmente verso imprecisate frontiere dei diritti. Ma temo che, se mai dovesse accadere, si scoprirebbe che quella corsa non finisce bene per il PD. Continuo a pensare che non solo il (doveroso) rispetto della libertà di coscienza degli eletti ma anche il pluralismo interno di orientamenti su temi delicati come questi siano, anche sul piano politico, più una risorsa che un problema. Ma naturalmente solo la storia futura potrà chiarire la correttezza di questa mia valutazione.

Tornando al tema specifico, abbiamo condiviso due aspetti fra noi consiglieri di maggioranza in Emilia-Romagna. Primo, nelle more del dibattito politico sul merito della questione – che come noto registra pareri differenziati – condividiamo l’opportunità di attenersi alla normativa e alle sentenze vigenti. La condivisione in maggioranza di questo principio ha permesso alla Giunta – nella propria responsabilità – di formulare tecnicamente, mettere a punto e approvare la delibera e le linee guida di cui parliamo. Naturalmente questo presupposto è condiviso ma è vissuto in modo diverso a seconda dei punti di vista: per alcuni è un passo avanti verso il riconoscimento di ciò che ritengono dovrebbe essere un diritto soggettivo, per me e altri è l’affermazione di un principio di legalità che ci chiama a rispettare anche leggi (e sentenze) che non condividiamo. Secondo punto su cui siamo d’accordo: varare una legge sul fine vita sarebbe responsabilità del Parlamento, che invece da anni è colpevolmente inadempiente. È una vera sconfitta della politica lasciare che Corti e Tribunali svolgano la funzione di legislatore per la mancanza di una legge votata dal Parlamento. Oltretutto avrebbe ben poco senso che a legiferare – magari in modo difforme fra loro – fossero le venti regioni italiane. Anche in questo caso, siamo d’accordo ma con punti di vista diversi: mentre alcuni sperano che il Parlamento vari una legge che riconosca come diritto in determinati casi il suicidio assistito, io mi auguro invece che la legge nazionale si attenga ai due no simmetrici che dicevo all’inizio (no all’accanimento terapeutico e no a suicidio/eutanasia) magari approfondendo meglio le questioni che attengono all’area intermedia.

Faccio due ultime precisazioni su quanto accaduto finora, perché da un lato e dall’altro c’è chi tende a confondere i piani. Al di là della doverosa verifica della correttezza formale della delibera adottata dalla Giunta, chi ne sta chiedendo il ritiro perché non condivide (come me) che il suicidio assistito sia un diritto esigibile, a mio avviso sbaglia obiettivo. Perché il tema non è ritirare la delibera applicativa, ma semmai sarebbe quello di “ritirare” la sentenza, che poi significa promulgare una legge votata dal Parlamento. Quindi chi è in minoranza in Emilia-Romagna e in maggioranza in Parlamento, credo che farebbe meglio a sollecitare il Parlamento a legiferare piuttosto che accanirsi contro una delibera applicativa di una sentenza attraverso la quale già a diverse persone in Italia è stato consentito di suicidarsi, passando dai tribunali. Sull’altro fronte, a chi tenta di confondere i piani dicendo che l’Assemblea Legislativa nell’esaminare la proposta di legge della associazione Coscioni non dovrebbe entrare nel merito di un diritto al suicidio che è già sancito dalla sentenza della Corte Costituzionale, ma semplicemente definirne gli aspetti applicativi, ricordo che delle due l’una: o l’Assemblea Legislativa non ha la competenza di legiferare su questo argomento, e in quel caso dovremmo votare contro la legge in quanto esulante dalle nostre competenze; oppure siamo competenti a legiferare, e allora io da legislatore regionale devo essere coerente con le mie convinzioni, votando contro la legge in quanto non la condivido. Insomma, nell’uno e nell’altro caso, il mio voto sarebbe lo stesso: contrario.

Mi scuso per la lunga introduzione ma mi pareva importante evidenziare gli snodi del percorso in atto, i livelli di condivisione cui siamo giunti finora sia pur da punti di vista differenti, e lo spazio in cui si colloca la discussione sulla proposta di legge che è attualmente iscritta in Commissione. Prima di entrare nel merito delle ragioni del mio no a suicidio ed eutanasia, voglio precisare che naturalmente ho il massimo rispetto non solo per le diverse convinzioni su questo argomento, ma anche e soprattutto per le persone malate che soffrono e che si interessano a questo tema nella speranza di trovare risposte al senso della vita, della morte e della sofferenza, che purtroppo non sempre è possibile dare da un punto di vista medico e legislativo. Anche io, come penso tutti, ho vissuto da vicino esperienze di sofferenza e di morte che hanno toccato persone a me molto care, e quindi conosco ciò di cui stiamo parlando. Nondimeno, l’antico proverbio sul medico pietoso non sta a significare che il bravo medico debba essere spietato, ma bensì che la giusta pietà ed anche la condivisione della sofferenza non debbono portare a trascurare la razionalità nell’affrontare la situazione. In questo senso anche il legislatore, come il medico, è chiamato a coniugare pietà e condivisione con la razionalità di un impianto legislativo logico e la coerenza rispetto a valori condivisi. Coerenza che richiede di evitare anche scorciatoie apparentemente allettanti. Fatte queste premesse, provo a spiegare le ragioni della mia contrarietà a suicidio assistito ed eutanasia.

La prima domanda che dobbiamo porci è: di fronte a quale istanza ci troviamo? Occorre prendere coscienza che l’obiettivo cui si tende è il riconoscimento di un diritto al suicidio. È evidente che questo sia il fine ultimo della battaglia portata avanti dall’associazione Coscioni. Delle condizioni previste dalla citata sentenza della Corte Costituzionale – essere in grado di prendere decisioni libere e consapevoli, essere affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche ritenute intollerabili, essere tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale – l’unica che a loro sta davvero a cuore è la prima, vale a dire l’autodeterminazione. Per i promotori della proposta di legge regionale la sentenza della Corte Costituzionale è semplicemente il primo passo di un percorso che essi auspicano porti al riconoscimento di un diritto assai più ampio al suicidio. Basta guardare il loro sito per rendersene conto; basta leggere dei casi delle persone accompagnate in Svizzera a morire, che ormai non ricadono più nei requisiti previsti dalla sentenza in questione e sovente hanno solo la soggettiva convinzione che per loro sia meglio morire che vivere; basta leggere i tanti articoli che compaiono sugli organi di stampa che fiancheggiano da anni questa battaglia e che spesso riguardano persone sofferenti ma non ricadenti in quei requisiti. Dico di più: è da prevedere che i criteri stabiliti dalla Corte Costituzionale, apparentemente stringenti, siano destinati ad essere erosi dal tempo e dalle sentenze, perché – a parte l’autodeterminazione – sono soggetti ad interpretazione e pertanto hanno evidenti problemi di tenuta logica. È difficile tirare un confine chiaro e netto sulla base di una definizione astratta, e si troverà sempre un giudice o un comitato etico che, basandosi sulla sofferenza anche solo psicologica ritenuta soggettivamente intollerabile, sarà disposto a fare un “più uno” sull’interpretazione degli altri criteri. Nei pochi casi che sono già stati esaminati e approvati in Italia sulla base di quella sentenza della Corte Costituzionale mi risulta peraltro che sia già successo.

Oltretutto stiamo parlando di una questione che in altri paesi è già affrontata con leggi a maglie molto larghe. Al punto che ormai si fatica a cogliere la differenza con situazioni descritte dalla fantascienza distopica di alcuni anni fa. Forse qualcuno ricorderà il film del 1973 che si intitola “2022: i sopravvissuti” alias “Soylent Green”. Cito da Wikipedia: “Allo scopo di alleviare il problema della sovrappopolazione il governo ha da tempo legalizzato il suicidio assistito: a questo scopo sono stati creati i Templi, luoghi dove la gente può recarsi a morire in un ambiente confortevole”. Non mi pare una descrizione molto distante dalle cronache che ci arrivano oggi, ad esempio, dai Paesi Bassi.

Vorrei fare un passaggio anche sulle parole che vengono utilizzate nella campagna pro suicidio/eutanasia. Oltre all’uso non sempre corretto della sofferenza delle persone e alla mancata considerazione delle cure palliative, c’è l’abitudine costante a parlare di “diritto” da riconoscere, che è un modo di anticipare la conclusione, perché già quando si parla di diritto è implicita la necessità di riconoscerlo. In tutto il dibattito di questi giorni si parla sempre di “libertà di scelta” ossia di autoderminazione e mai o quasi mai degli altri criteri contenuti nella sentenza della Corte: non è un caso. C’è di più: da tempo mi ha colpito questo articolo, ormai datato, sul suicidio assistito di Lucio Magri, che viene descritto nel titolo come “una morte pulita”, evidentemente contrapponendola alle morti “sporche” di chi aspetta l’ultimo momento per prendere provvedimenti. Quindi oltre a lodare i campioni dello sport che si ritirano per tempo dalle gare in modo da evitare il declino dovuto all’avanzare dell’età, prepariamoci a sentire lo stesso tipo di discorsi applicati al ritiro dalla vita. E se vogliamo restare alle notizie degli ultimi giorni, basta leggere le lodi sperticate all’eutanasia “di coppia” praticata nei giorni scorsi dall’ex premier olandese con la moglie, che avrebbero addirittura, secondo una giornalista, “ucciso la morte prima che la morte uccidesse loro”.

Se la prospettiva del diritto al suicidio è evidente nelle intenzioni dei promotori, è implicita nella logica delle cose ed è già ampiamente dimostrata dalla realtà storica di altri paesi che hanno vissuto prima di noi i passaggi che stiamo vivendo ora, quando si entra nel dibattito politico questa prospettiva viene completamente rimossa. Quasi tutti i colleghi che ho interpellato, fra i favorevoli alla proposta di legge, mi hanno ricordato che ora stiamo parlando solo dei casi previsti dalla sentenza della Corte Costituzionale. Pochi aggiungono che sarebbero contrari ad una estensione della possibilità di suicidarsi, molti preferiscono semplicemente evitare il tema. Insomma, la prospettiva (che pure è chiarissima) viene lasciata nell’ombra. Anche per questo io credo che vada posto un confine chiaro, e che il no debba essere netto. Siccome la prospettiva è quella di vedere sfogliare il carciofo, piuttosto preferirei dibattere in modo aperto con chi si dichiara favorevole alla deriva olandese: almeno la diversità delle posizioni sarebbe chiara. Peraltro l’esperienza dovrebbe insegnare: quanti anni sono passati dalla faticosa mediazione interna al PD per arrivare alla legge sulle DAT che poi è stata approvata? Pochi. Fare quello sforzo di convergenza avrebbe avuto senso se quello fosse stato il punto di arrivo, la sintesi delle nostre posizioni. Invece dal giorno dopo l’approvazione di quella legge è ripartita la corsa, i tentativi di fare “più uno”, le raccolte di firme per il referendum sull’eutanasia, e adesso la rincorsa all’associazione Coscioni sul suicidio assistito. E per questo non mi convince neppure la proposta di legge Bazoli: inutile illudersi che possa essere un punto di arrivo, meglio tracciare una linea chiara e non strattonabile. E questa linea non può che essere – sul piano logico prima ancora che politico – dire no all’accanimento terapeutico e no a suicidio ed eutanasia.

Ho scritto prima che il suicidio non solo non è giusto ma non è nemmeno necessario. Non è necessario anzitutto perché esistono le cure palliative, che sono una risposta efficace alla comprensibile esigenza di evitare sofferenze altrimenti insopportabili. E la questione sarebbe già chiusa. Ma vogliamo parlare nello specifico dei casi normati dalla sentenza della Corte Costituzionale? Perché rispettare la sentenza non significa non valutarla nel merito. Se uno dei requisiti è essere tenuti in vita da trattamenti di sostegno vitale, che bisogno c’è di fare assumere un farmaco letale a persone che morirebbero nel momento in cui i trattamenti di cui sopra venissero sospesi? Che è poi quanto è stato fatto in alcuni casi molto noti che tanto hanno fatto discutere negli anni scorsi in Italia, in cui la morte non è sopravvenuta per un atto suicidario o eutanasico, ma a causa della sospensione del supporto vitale a valle di una eventuale sedazione. Ma ciò nonostante, quei casi sono ancora oggi utilizzati come ‘testimonial’ della campagna a favore del suicidio assisistito. Anche questo dimostra che ciò di cui si parla oggi è semplicemente un passo avanti per fare accettare gradualmente all’opinione pubblica la prospettiva del diritto al suicidio. E se invece ci fosse qualcuno sinceramente convinto che il tema sia solo quello di rispecchiare la sentenza della Corte Costituzionale, concedendo il diritto al suicidio solo nei casi ricadenti in quei criteri, senza pensare a successive estensioni, è bene che prenda coscienza che per affrontare i casi previsti da quella sentenza non è affatto necessario l’atto suicidario, perché basterebbero sedazione e sospensione delle cure.

Se dovesse essere sdoganata la prospettiva del suicidio fondato essenzialmente sull’autodeterminazione le conseguenze sarebbero molteplici e nefaste. Non mi dilungo su quanti disabili e anziani siano giunti al fine vita per quella strada nei paesi che hanno fatto quella scelta legislativa, né sul tema della risposta alternativa che si vorrebbe “offrire” al problema della solitudine degli anziani, col possibile rovesciamento del paradigma per cui si passerebbe dal dovere di stare vicino agli anziani soli al sottolineare la scelta “solidale” e “pulita” di chi fra loro scegliesse di togliere il disturbo per tempo. O dei risvolti economici di tutto questo. Voglio però sottolineare che ciò minerebbe, fra le altre cose, un aspetto fondante nella psichiatria. Oggi disporre un trattamento sanitario obbligatorio nei confronti di una persona è previsto essenzialmente in due casi: quando questa persona possa rappresentare una minaccia per l’incolumità degli altri o per la propria. Vale a dire che se uno pensa seriamente di suicidarsi, le nostre leggi prevedono di intervenire in maniera coatta per evitare l’insano gesto. Invece in questo periodo leggiamo di persone depresse, che con ogni probabilità avrebbero dovuto essere curate loro malgrado per scongiurare i propositi suicidi, che invece sono state accompagnate in Svizzera a suicidarsi. Mi fermo qui, ma le conseguenze logiche dello sdoganamento del diritto al suicidio dovrebbero davvero indurre tutti a una profonda riflessione.

Penso di aver espresso con chiarezza le ragioni della mia contrarietà al suicidio assistito e all’eutanasia, e faccio notare che non ho in alcun modo utilizzato argomentazioni religiose o attinenti alla fede cattolica, né citato testi dottrinali, o discorsi di vescovi o del Papa. Ma lasciatemi dire che trovo insopportabile che ci sia chi voglia giudicare me ed altri, che non nascondiamo la nostra fede cattolica ma nemmeno la usiamo per motivare il nostro impegno politico fondato su valori e motivazioni del tutto laiche e civili, misurandoci sulla cattolicità. Vuoi per cercare di screditare ogni nostra opinione (attenzione! sono cattolici, allarme rosso!) o addirittura facendoci la morale su quel che un cattolico buono dovrebbe (secondo loro) pensare e dire. Ovviamente in questo caso il cattolico gradito al mainstream è quello favorevole al suicidio assistito, come in altri casi è quello favorevole alla maternità surrogata e via discorrendo. Ma se invece provassimo tutti a stare al merito delle questioni? Stando al merito ognuno è libero di dire ciò che pensa, e io non giudico nessuno. Poi è vero, io sono cattolico o almeno provo ad esserlo, e non lo nascondo semplicemente per una questione di trasparenza. Come sarebbe bello che anche altri fossero altrettanto trasparenti, a cominciare da politici e giornalisti iscritti alla massoneria, solo per fare un esempio. In conclusione: io ho le mie idee, le porto avanti laicamente, e vorrei essere valutato su quelle e non su altro. E sulla base delle mie idee, io al suicidio assistito (ma se siete arrivati fin qui ormai lo avrete intuito) sono contrario.

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