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Il programma regionale per l'integrazione sociale degli stranieri

28 Ottobre 2022 Notizie

Nell’ultima seduta è stato approvato in Aula il Programma 2022-2024 per l’integrazione sociale dei cittadini stranieri. Emilia-Romagna plurale, equa, inclusiva. Introdotto nel 2004, pone particolare attenzione a donne, adolescenti, minori non accompagnati, lotta alla tratta, allo sfruttamento e alle discriminazioni, salute, lavoro, scuola e formazione. Sono temi su cui si misura la civiltà di un Paese e che la Regione ha lanciato come sfida: la pluralità è un valore, l’equità è un indirizzo strategico per ridurre le disuguaglianze e l’inclusione di ciascuna persona è la traiettoria verso cui tendere affinché nessuno si senta estraneo.

I cittadini stranieri residenti in Emilia-Romagna a fine 2021 sono 569.460, pari al 12,8% della popolazione complessiva. Rispetto all’anno precedente si registra un incremento di 4.658 unità (+0,8%) a fronte di una diminuzione di quasi novemila unità (-0,2%) dei residenti di cittadinanza italiana: anche nel corso del 2021 la popolazione straniera si conferma come unico motore della crescita demografica (dati dell’Osservatorio regionale sul fenomeno migratorio).

In Emilia-Romagna ci sono circa 257mila stranieri occupati. Si tratta del 13% di tutte le persone che hanno un lavoro, quasi 2 milioni. I valori si mantengono stabili rispetto all’anno precedente e sono superiori alla media nazionale, che è del 10% (dati 2021 dal Dossier Statistico Immigrazione a cura di Idos). Per quanto riguarda i settori in cui sono occupati, il 58,8% lavora nel terziario, il 34,5% nell’industria, il 6,6% nell’agricoltura. Alto il numero dei lavoratori domestici: sono 44mila, il 17,1% del totale. Quest’ultimo settore è quello dove risulta più di tutti la sproporzione con i lavoratori italiani: il 78,8% è straniero. E sono soprattutto donne, che rappresentano il 43,3% del totale dei lavoratori stranieri in tutta la regione.

Un dato da sottolineare è quello dei lavoratori sovra-istruiti, cioè con un titolo di studio superiore a quello necessario per svolgere la propria mansione: tra gli italiani sono il 27,3%, mentre tra gli stranieri sono il 37,6%. Questo significa che per una percentuale significativa di persone non riusciamo a offrire un lavoro di livello adeguato. Questo vale per gli italiani e per gli stranieri, per i quali il fenomeno si accentua. Del resto, il 28,7% dei lavoratori stranieri svolge un lavoro manuale non qualificato, il 38% un lavoro manuale specializzato, il 26,9% sono impiegati, addetti alle vendite e ai servizi personali e solo il 6,4% ricopre mansioni dirigenziali o professioni intellettuali o tecniche, a fronte di percentuali che per i lavoratori italiani sono rispettivamente 6,6%, 23,9%, 28,3%, 41,1%.

Non tutti gli stranieri sono lavoratori dipendenti. In regione le imprese condotte da immigrati sono circa 58mila, il 13% del totale, con un incremento del 4,8% rispetto al 2020, mentre le imprese italiane sono diminuite del -0,2%, confermando tendenze pluriennali (dati Infocamere). Il comparto prevalente è quello dell’edilizia, che interessa il 33,7% delle imprese gestite da stranieri. Al secondo posto il commercio, con il 23,1%. I principali Paesi d’origine dei titolari d’impresa sono Albania (12,5%), Cina (11,4%), Marocco (11%), Romania (10,8%), Tunisia (7,9%). Tra le imprese gestite da cittadini stranieri, solo il 23,1% è condotto da donne.

Il dato degli occupati stranieri non è neutro rispetto ai generi. Diminuiscono infatti in modo significativo le donne occupate (da 122.867 a 115.952): essendo soprattutto le donne straniere impegnate nei lavori di cura, sembra proprio che l’occupazione femminile abbia risentito dell’effetto Covid più di quella degli uomini. Complessivamente il tasso di occupazione degli stranieri è inferiore a quello degli italiani: 61,7% rispetto al 70% ma se per gli uomini tale tasso è addirittura superiore di 1,2 punti (76,6% rispetto 75,4% degli italiani), è guardando alla componente femminile che osserviamo un tasso di occupazione di quindici punti in meno: il 49,3% rispetto 64,4% delle occupate italiane.

Un’altra situazione di criticità è quella legata alla disoccupazione. Se quella degli italiani in Emilia-Romagna è del 4,4%, per le persone straniere è quasi tre volte tanto, l’11,9%. A ciò si aggiunge il dato significativo che riguarda gli stranieri coinvolti nello sfruttamento lavorativo: sono 6mila le persone identificate come vittime o potenziali vittime, probabilmente parte di un sistema più complesso e numeroso.

Lavoro femminile, disoccupazione e sfruttamento lavorativo sono un’emergenza nel Programma. La sfida è promuovere interventi per mettere le persone in condizioni di autonomia, superando i divari materiali, sociali e linguistici, di competenze o di comprensione di un nuovo territorio. Parallelamente vanno contrastate politiche e prassi discriminatorie e di sfruttamento lavorativo o riduzione in schiavitù. E occorre avere una forte attenzione anche al linguaggio e al modo con cui si comunica e si rappresenta il fenomeno migratorio, come indicato dal Manifesto della comunicazione istituzionale interculturale promosso insieme ad ANCI Emilia-Romagna.

Le aree di intervento trasversali sono: comunità e prossimità; equità tra generi e generazioni; autonomia; mobilità e flussi emergenziali; semplificazione e accesso digitale ai servizi. E per ciascuna area sono previste numerose azioni, che vanno dall’accoglienza dei flussi non programmati – richiedenti e titolari di protezione internazionale e minori stranieri non accompagnati – ai giovani, lingua italiana e cittadinanza, lotta alla tratta e allo sfruttamento lavorativo, lotta alle discriminazioni, pari opportunità e contrasto alla violenza di genere, politiche abitative, sicurezza, lavoro, politiche sociali, salute, salute mentale e dipendenze patologiche, scuola e formazione, sport.

Un utile strumento per approfondire è la recente clausola valutativa sull’attuazione della legge regionale n. 5/2004 «Norme per l’integrazione sociale dei cittadini stranieri immigrati», che fa il punto sul fenomeno dell’immigrazione in Regione e sui risultati ottenuti per migliorare il livello di integrazione sociale dei cittadini stranieri. Consiglio la lettura della Relazione 2021 perché è interessante per capire cosa non ha funzionato, visto che le diseguaglianze sono ancora tante. In estrema sintesi, sono ancora pochi i cittadini e le cittadine straniere che hanno avuto accesso ai servizi e ai contributi previsti dalla legge. A ciò si aggiunga un altro dato preoccupante: l’Europa mediterranea mostra da tempo livelli di atteggiamenti ostili verso gli immigrati superiori alla media europea e tra i paesi mediterranei l’Italia, dopo la Grecia, ha a lungo guidato le graduatorie negative.

C’è tanto lavoro da fare, allora, per mettersi in relazione con chi vive discriminazione a causa della nazionalità o sradicamento dalla terra d’origine. Aiutare ad apprendere la lingua, ad esempio, a partecipare alla vita pubblica e a iniziative interculturali: sono tutte cose semplici, che ciascuno di noi può fare e che daranno la misura della nostra umanità. E ricordiamoci sempre che governare il fenomeno migratorio promuovendo, fra l’altro, l’integrazione sociale e lavorativa è non solo giusto, ma anche il modo più efficace per favorire la sicurezza e la serenità di tutti, stemperando le tensioni e migliorando la qualità della vita e della convivenza sociale.

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