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Mentre fino a qualche tempo fa le differenze sostanziali fra destra e sinistra erano sulla politica economica, oggi è sempre meno vero e non solo perché l’economia è stata delegata agli “esperti” del governo Draghi. Nuovi temi hanno assunto centralità, e il quadro politico sta mutando di conseguenza. Ma andiamo per gradi.
Quando, all’inizio della seconda repubblica, il crollo del muro di Berlino diede la spinta per superare antichi steccati, il progetto (o il sogno?) di una democrazia governante, fondata sul sistema maggioritario, indusse a cercare forme di federazione e di unità sia nel centrosinistra che nel centrodestra. Più libero mercato nel centrodestra, più solidarietà e coesione sociale nel centrosinistra, questa era l’idea di fondo, nel quadro di valori condivisi che rendessero possibile l’alternanza al governo. Chi oggi evoca l’Ulivo parlando d’altro, o si sta adoperando per cambiare la natura e la missione del PD, dovrebbe cercare di ricordarlo.
In quel contesto, al di fuori della politica economica era naturale trovare posizioni plurali all’interno delle coalizioni o degli stessi partiti. Nell’Ulivo prima e poi nel PD, i diritti individuali erano considerati aspetti importanti su cui era necessaria una mediazione per fare dei passi avanti insieme. Ci provò ad esempio il governo Prodi coi DiCo di Rosy Bindi, trovando la forte opposizione del primo Family Day, con la regia nemmeno tanto occulta della CEI. In quell’occasione io ero d’accordo col governo e critico verso la linea impressa dal card. Ruini al mondo cattolico, e se uno avesse voglia di leggere questo mio post del 2007 capirebbe anche perché: mi preoccupavo della necessità di salvaguardare lo spazio per una mediazione in un PD che era necessariamente plurale su questi temi (altrimenti non è più il PD appunto). Anche successivamente non ho mai fatto mancare il mio contributo alla ricerca di una mediazione che fosse rispettosa delle diverse culture interne all’Ulivo e al PD, dalla delibera in Consiglio Comunale sulle DAT del 2009 fino alla legge regionale contro le discriminazioni omotransfobiche del 2019.
Ma in quel contesto discutevamo appunto istanze importanti ma non identitarie per il partito, e la pluralità interna veniva vista come una ricchezza, pur richiedendo uno sforzo di mediazione. Poi in questi ultimi anni la situazione è andata gradualmente cambiando, come ho argomentato nelle prime due puntate di questa riflessione, ed oggi mi pare sia indubbio che questi temi abbiano assunto una centralità identitaria per chi sta portando avanti il progetto della mutazione genetica del PD, iscrivendola in un contesto internazionale molto più ampio.
Quel contesto internazionale che vede ad esempio emergere con forza in questi ultimi anni il movimento Black Lives Matter, apparentemente per promuovere il sacrosanto principio dell’uguaglianza razziale. Se però si va a leggere il manifesto dell’organizzazione internazionale, si scopre che nasce anche per affermare la centralità delle persone lgbt+ nei movimenti antirazzisti, accusati di essere troppo “tradizionali” da questo punto di vista. Ogni volta, approfondendo, si scopre che per abbracciare questo nuovo modo di intendere la sinistra risulta centrale e non facoltativo non solo essere contro le discriminazioni (come giusto) ma affermare la centralità del principio che fa dell’autodeterminazione un valore assoluto, con conseguente apertura a prostituzione, utero in affitto ed autodeterminazione del genere come forme di libertà. Temi su cui il dissenso è sempre meno tollerato, all’interno del PD e degli altri pezzi di centrosinistra oggetto della ridefinizione in corso.
Se la regia internazionale di questi movimenti è palesemente statunitense e nordamericana (nella sponda democratica, perché come noto Trump ha rappresentato altro), dall’altra parte c’è una regia russa ed orientale che sostiene i movimenti opposti che si oppongono con durezza a questa deriva. Anche questi movimenti assolutizzano e ideologizzano questi temi, vedendoli ovviamente dal punto di vista opposto. Il congresso mondiale delle famiglie tenuto a Verona nel 2019, i movimenti anti-gender, i partiti della destra che hanno assunto come identitari questi temi – in Italia è vero sia per la Lega di Salvini che per FdI della Meloni – hanno chiari riferimenti e probabili finanziatori in quei paesi.
Archiviato dalla storia il contrasto novecentesco fra il mondo occidentale e il mondo comunista, siamo dunque dentro una divaricazione che mira a riproporre il contrasto fra oriente ed occidente sui temi dei diritti individuali e delle migrazioni? E’ una domanda non peregrina, a giudicare da quanto sta emergendo. E se è questo il quadro, le conseguenze per il progetto dell’Ulivo e del PD rischiano di essere letali.
Non sarebbe la prima volta che processi culturali che appaiono marginali o comunque non centrali al loro esordio, poi rischiano di avere conseguenze invece strutturali. Senza andare a pescare esempi scomodi dalla storia di un secolo fa, ricordo il Berlusconi che durante la sua ascesa politica invase le televisioni promuovendo come valore il modello del lavoro autonomo, libero e indipendente, che era poi concretamente rappresentato dal popolo delle partite iva. La solida tradizione italiana del posto fisso sembrava non scalfibile, eppure se oggi parlate coi giovani troverete molto più diffusa di quanto crediate la convinzione che un posto di lavoro fisso sia una prospettiva triste e che non importi preoccuparsi della pensione perché tanto è una chimera. Ecco come un principio anche valido, quello dell’indipendenza e della possibilità di cambiare lavoro nell’arco della vita, fatto diventare un assoluto si è trasformato nella giustificazione per un orizzonte di precarietà e di minori garanzie per i lavoratori e di giovani in particolare.
Allo stesso modo, quando lo slogan “love is love” ha cominciato ad occupare la cultura di massa, nessuno ha più di tanto ragionato sulle conseguenze di un affidamento completo al punto di vista soggettivo di temi che conservano un significato sociale che non dovrebbe essere necessariamente privatizzato. Eppure oggi proprio su quelle premesse logiche si sta dividendo il mondo femminista, Arcilesbica viene avversata da Arcigay con enorme durezza, si stanno ridefinendo appartenenze e prospettive. La mercificazione dei corpi e delle vite dei bambini, rese possibili da quella stessa logica, vengono viste come frontiere dei diritti e cose di sinistra, mentre sono l’esatto contrario. E mette i brividi il fatto che qualcuno parli di “nuovo umanesimo” per promuovere la transizione verso una prospettiva sostanzialmente disumanizzante. Aumentando ulteriormente la confusione terminologica, anche perché a parlare di nuovo umanesimo sono in diversi, ovviamente con idee e prospettive molto differenti. Per questo la domanda giusta è: quale nuovo umanesimo?
Al tempo stesso, c’è molta meno attenzione a quanto accade sul fronte economico, al punto che l’arrivo di Draghi è stato salutato come salvifico sia dal PD che dalla Lega, né finora sono emerse divaricazioni significative sull’operato governativo sui temi economici e sociali. Perché l’identità dei partiti si gioca sempre di più sui diritti individuali e l’accoglienza dei migranti, e nell’economia ci si differenzia più su quali bonus proporre che sulla visione di prospettiva.
Chi, più o meno consapevolmente, è attivamente impegnato nella mutazione genetica dell’identità del Partito Democratico, mette in conto – e diversi lo dicono apertamente – la necessità di liberarsi di chi potrebbe impedire il compimento di questa trasformazione. Qui si inserisce però un problema, perché nella vulgata corrente la zavorra che si vorrebbe scaricare viene definita come la componente degli renziani che sarebbero rimasti “in sonno” all’interno del PD.
Qui siamo purtroppo alla confusione mentale, per diversi motivi. Primo, perché la classe dirigente del PD (non diversamente da altri partiti, purtroppo) è piena di opportunisti che sono stati (nell’ordine) bersaniani, renziani, zingarettiani ed ora lettiani, e che in principio sarebbero pronti ad abbracciare ogni credo se fosse loro conveniente. Secondo, perché Renzi è uscito dal PD e i renziani propriamente detti lo hanno seguito in Italia Viva. Terzo, perché lo stesso Renzi, fortissimo tatticamente ma non sempre altrettanto attento alla strategia, dopo un inizio più attento sui temi oggetto di questa mia riflessione, si è ad un certo punto acconciato anche sui temi dei diritti individuali, quasi cercando di riguadagnarsi una patente di “sinistra” con la legge sulle unioni civili e con l’azione che ora in IV porta avanti Scalfarotto insieme ad altri specializzati su questi temi. Ed oggi né IV, pur più attenta ma soprattutto per motivi tattici sul ddl Zan, né Azione, appaiono esenti dalla contaminazione negativa che questi temi stanno provocando al dna del centrosinistra.
Quindi da un lato è falsa la motivazione con cui è in corso la caccia alle streghe nel PD, ma d’altra parte la storia ci insegna che quasi mai pogrom e pulizie etniche sono state motivate correttamente, si sono sempre cercati pretesti per costruire l’identikit di un nemico contro cui aizzare le menti più deboli. Dall’altro manca la lucidità di contrastare il fenomeno in atto, a partire dal piano culturale, e manca non solo nel Partito Democratico ma anche nei partiti che da esso sono usciti per scissione.
Ovviamente tutta questa deriva pone seri problemi anche alla rappresentanza del mondo cattolico in politica, e sarà quello l’argomento della quarta e penultima puntata di questa mia riflessione.