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“Vaccini, il dovere di salvare il mondo” è il titolo dell’editoriale di Ezio Mauro su Repubblica di ieri. Lo riprendo volentieri, perché finiva proprio così il post che ho dedicato ai vaccini anche nella scorsa newsletter di aprile. Ezio Mauro pone alla nostra riflessione alcune considerazioni importanti. In primo luogo, ci fa riflettere sul fatto che viviamo nella convinzione di produrre il benessere che consumiamo e che il ricavato di questo benessere ci tuteli e garantisca. Questo era forse vero fino a un anno fa, ma adesso il Covid ha azzerato le nostre pretese di invulnerabilità e annullato la falsa equivalenza tra privilegio e immunità. Siamo tutti essere viventi, organismi di cui il virus ha bisogno per svolgere il mandato genetico impresso nella sua natura, infettare per riprodursi, moltiplicarsi e assicurare la continuità della specie. Il vaccino però ci restituisce le nostre diseguaglianze: sul miliardo e 625 milioni di dosi somministrate in 186 Stati, l’85% è finito agli abitanti dei Paesi più ricchi e soltanto lo 0,3% è stato destinato ai Paesi poveri.
È anzitutto una questione di giustizia, ma è anche un bisogno “egoistico” nella necessità di vaccinare il mondo intero, e cioè che la stessa sicurezza dei Paesi più ricchi resterà minacciata dall’azione del Covid se il vaccino non raggiungerà davvero tutti: le popolazioni dei Paesi più poveri e più esposti resterebbero condannate ad essere riserve permanenti e attive di riproduzione del virus e strumenti potenziali di contagio per tutti. Chissà quanto ci metteremo a renderci conto del fatto che conviene anche a noi. Che è meglio per tutti, se la popolazione mondiale è in salute. Saremmo perfettamente in grado di fare ciò di cui c’è bisogno: trasferire know how dai Paesi ricchi ai Paesi poveri; aumentare la produzione dei vaccini; definire quanto serve a proposito delle licenze; arrivare a una distribuzione massiccia dei vaccini a prezzo di costo; incentivare donazioni da parte dei Paesi ricchi; eliminare il blocco all’export dei componenti vaccinali negli USA e nel Regno Unito.
Facciamolo. Magari sarà anche l’occasione per un profondo cambiamento culturale, per capire i limiti intrinseci di nazionalismi, egoismi, particolarismi. Per comprendere finalmente che essere “Fratelli tutti” è la cosa giusta ed anche la più conveniente.