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Pandemia e diseguaglianze (piove sul bagnato)

12 Aprile 2021 Prospettive

Sono usciti ieri su La Stampa gli esiti di un sondaggio dal titolo Come ci ha cambiati il Covid. Un titolo che dava per scontato che un cambiamento ci sia stato. In effetti, siamo davanti a un fenomeno che nessuno di noi ha mai vissuto finora e che inevitabilmente ha avuto conseguenze: una pandemia. Alla domanda che dava il titolo al sondaggio, in 406 su 1100 (37% del campione) rispondono: “Mi sento più solo, ansioso e depresso”. Risposta che riguarda oltre il 60% della fascia più giovane, sotto i 20 anni, e che ricorre per un 12% in più tra le donne che tra gli uomini. Piove sul bagnato. Erano già queste le fasce della popolazione già in sofferenza, prima del Covid-19: giovani e donne.

Un altro dato importante: il vuoto emotivo si riempie con la socializzazione, l’impegno, la cultura, l’attività fisica. E proprio tutto questo è venuto a mancare: in 440 (40% del campione) rispondono di aver capito l’importanza di sport e cultura. Un vuoto che forse acuisce ancora di più il sentimento di solitudine diffuso e su cui la politica dovrebbe riflettere: cosa si offre alle persone in cambio, nel momento in cui si chiude ciò che dà linfa alle giornate e rende più vivibile la vita?

Che opinione hanno gli italiani di come è stata gestita la pandemia? Continua il sondaggio. Se fosse una pagella, a chi ha preso decisioni, varato misure, diviso l’Italia a colori, deciso chiusure e riaperture e via discorrendo, il voto prevalente sarebbe un 6 (46% degli interpellati). Alla domanda “Quanto ti senti rappresentato dal governo?”, ai primi di febbraio, prima del passaggio di consegne a Palazzo Chigi tra Giuseppe Conte e Mario Draghi, il 48% del campione lamentava “Troppa confusione” e il 23 % “Per nulla”. E quando si chiede di guardare avanti, di esporre cosa dovrebbe davvero fare la politica oggi, la risposta è da prendere molto sul serio: il 50,3% del campione risponde: “Avere una visione politica del futuro”; il 18,9% “Stanziare più fondi per la sanità”.

Insomma, gli intervistati manifestano idee chiare sul Recovery Plan a cui chiedono a gran voce una nuova Italia, investimenti strutturali, sanità pubblica, progetti per una vera ripartenza domani. Forse la prospettiva è ancora più importante dei ristori e degli aiuti immediati.

Luci e ombre emergono dal capitolo scuola. Alla domanda “Riguardo alle scuole, pensi che debbano rimanere aperte…” la risposta prevalente è “solo se sussistono rigorose condizioni di sicurezza” (61,7%), mentre il 17,6% le vuole aperte “a ogni costo”. Ma attenzione. Le persone più adulte nel campione, insieme a coloro con un livello di istruzione fino al diploma superiore, e quelle residenti al Nord sono significativamente più propense a rispondere “A qualsiasi costo”. Rappresentano forse quelle fasce sociali che, lavorando, non possono seguire i figli a casa in Dad? Probabilmente sì, ma anche quelle che ritengono l’istruzione un diritto imprescindibile e credono nella scuola. Anche in questo caso piove sul bagnato e si avvera un fenomeno da sempre osservato in Italia: la mancanza di mobilità sociale. Ovvero, il titolo di studio del genitore spesso spiega il titolo di studio del figlio. Se il genitore è laureato il figlio sarà laureato. Se è un operaio sarà un operaio. La cosa triste del nostro paese è che questa immobilità sociale non solo sta peggiorando ma è anche chiusa culturalmente nel percepito delle persone più semplici, con la famiglia operaia propensa a dichiarare che non farà studiare il figlio all’università perché tanto è inutile. Questa affermazione è terribile, non solo perché le statistiche dimostrano che l’occupazione dipende fortemente dal titolo di studio, ma soprattutto denota un’assenza di speranza e si configura come una profezia che si autoavvera. Se il genitore per primo non ci crede, sarà così.

Per non dire delle preoccupazioni riguardo al futuro lavorativo ed economico di ciascuno: per il 48,86% è “un disastro senza precedenti” da cui sarà difficile tornare alla vita di prima.

Alla domanda: “Quale ritieni sia l’indicatore più importante per dire che siamo salvi?”, oltre il 42% del campione risponde: “Quanto tutta la popolazione mondiale sarà vaccinata”, a cui segue, nel 33% dei casi, la risposta “Quando non avremo quasi nessun decesso per Covid”. Nei vaccini, come nella scienza, gli italiani credono, li ritengono sicuri (53%) o al limite un rischio che vale la pena correre (35%). E pazienza se per le case farmaceutiche vaccinare l’intera popolazione mondiale è anche, ne sono consapevoli gli intervistati, (87%) un grosso affare.

Affrettiamoci, quindi, nella campagna vaccinale. È importante ridare speranza, in questo momento così difficile, e il vaccino è la grande speranza degli italiani.


(Il sondaggio è stato realizzato da un gruppo di ex compagni di scuola, professionisti in vari ambiti: Marcella Vigneri, ricercatrice ed esperta di statistica presso la London School of Hygiene and Tropical Medicine, Oxford; Lauriana Sapienza, assessore a welfare di comunità e cultura del Comune di Castenaso (Bo); Fabio Rossi, avvocato esperto in diritto scolastico, Catania; Betta Carbone, giornalista e social media manager, Pavia; Federico Pappalardo, cardiochirurgo presso Istituto Mediterraneo per i Trapianti e Terapie ad Alta Specializzazione, Palermo. È stato seguito un metodo di campionamento noto in gergo statistico come ‘snow balling’, palla di neve: si usa il primo giro di contatti per diramare su canali sempre più lontani da quelli direttamente noti al primo individuo. Il livello di istruzione più rappresentata nel campione sono laurea e diploma superiore. Sono state intervistate 1100 persone, dai 14 agli 85 anni, da Nord a Sud Italia e in ugual misura uomini e donne.)

Gli esiti del sondaggio per intero a questi link:
https://www.facebook.com/teamlafucina/posts/148101183903041
https://www.lastampa.it/topnews/primo-piano/2021/04/11/news/covid-quando-usciremo-dalla-pandemia-secondo-gli-italiani-1.40137509

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