;
E’ un sabato di vigilia, in Emilia-Romagna, perché da domani saremo zona arancione. Qualcuno interpreta questo come l’ultimo giorno in cui poter fare cose che poi non potrà più fare, e si è precipitato fuori a farle, anche se magari si tratta di esigenze tutt’altro che irrinunciabili. Non è una buona idea, e mi induce a riflettere su questa fase autunnale della pandemia, in cui mi pare prevalga l’egoismo rispetto all’altruismo.
Nei giorni del lockdown di primavera si percepiva un legame che ci univa nello sforzo collettivo di stare a casa o di limitare gli spostamenti, non solo nei momenti coreografici come gli striscioni appesi o i canti sui balconi. Di fronte ad un nemico nuovo, sconosciuto ed insidioso come il virus, mi pare fosse scattata una molla di solidarietà, una disponibilità a fare sacrifici in nome di un bene e di una lotta comune.
Viceversa, questo autunno è stato all’insegna delle rivendicazioni e dell’affermazione del proprio punto di vista. Esigenze pienamente legittime e condivisibili, come il poter lavorare o frequentare la scuola in presenza, sono state declinate come valori assoluti. Accanto a loro altre esigenze, anch’esse legittime ma meno fondamentali, come uscire la sera per divertirsi o per incontrare gli amici, sono state fruite fino a quando è stato consentito. Nonostante le raccomandazioni ad evitare assembramenti e a limitare gli spostamenti alle reali necessità tanti non hanno perso occasione per riaffermare una normalità che purtroppo non ci potevamo ancora permettere, spesso adottando precauzioni nulle o ridotte, come le foto della movida serale anche dei giorni scorsi dimostrano.
Sia chiaro: non voglio ignorare la portata del dramma di chi rischia di perdere il lavoro e la misura del disagio per gli studenti rappresentato dalla didattica a distanza. Semplicemente, col virus in azione, ogni rivendicazione deve confrontarsi con la misura del contagio e le sue conseguenze in termini di casi gravi, di ricoveri, di decessi. Mi piacerebbe che i ragazzi che stazionano di fronte alle scuole per reclamare la didattica in presenza in questi giorni, prontamente beatificati da una parte della stampa, avessero dei genitori capace di spiegare loro che governare la situazione di questa fase di pandemia è un’equazione difficile da bilanciare, dove uno sbaglio può significare migliaia o decine di migliaia di morti evitabili.
John Kennedy diceva “non chiederti cosa il tuo paese può fare per te, chiediti cosa puoi fare tu per il tuo paese” e questo sarebbe il punto di vista giusto con cui affrontare questa fase, in primis da parte di coloro che, essendo giovani, statisticamente sono meno messi a rischio dal virus di altri. Se tutti facessimo nostro questo punto di vista, o meglio se lo avessimo assunto qualche mese fa, forse avremmo potuto trovare una configurazione in cui consentire la fruizione di alcuni diritti (lavoro, scuola in presenza) facendo magari sacrifici su altri fronti, ed evitando il rischio della saturazione delle risorse sanitarie.
Perché il punto chiave è proprio quello: se lasciamo che il virus dilaghi in modo incontrollato, i casi gravi cresceranno tanto da non trovare più posto negli ospedali, e persone che avrebbero potuto essere curate e guarire, invece moriranno. Sono queste le morti evitabili, che invece stiamo già cominciando a vedere, perché – come il grafico che pubblico (fonte Agenas) e che è riferito ai dati di ieri dimostra – ci sono zone in cui la saturazione dei posti letto per pazienti covid è già oltre il 90%, altro che la soglia di allarme del 40%. Questo significa che per fare posto ai casi in arrivo nei prossimi giorni si cominceranno a comprimere le altre attività sanitarie (esistono anche i pazienti non covid) e non è detto che basti. Tutto questo avrà conseguenze, e potrà fare la differenza anche fra la vita e la morte di persone vere, reali. La curva dei decessi per covid freddamente registrerà, anzi sta già registrando, una parte di queste morti, quelle dovute al covid, ma appunto teniamo conto che ci sono anche altri pazienti. E che al di là dei decessi, ci sono persone che anche se guarite dal covid, porteranno con sè delle conseguenze.
In Emilia Romagna ieri eravamo al 52% di occupazione dei posti letto di area non critica e al 33% dei posti di terapia intensiva, e da domani saremo appunto zona arancione. Ma ci sono regioni messe molto peggio. Speriamo che la gradualità scelta dal governo sia sufficiente ad arginare l’onda. Io ho già detto e ripetuto che dalla mia lettura dei dati sarebbe stato giusto andare in lockdown a fine ottobre, per poter riaprire a dicembre in una situazione molto più sotto controllo.
In questi giorni sento voci levarsi a commentare con soddisfazione il raffreddamento del parametro Rt, sceso a 1,4 a livello nazionale. Naturalmente speriamo che scenda ancora, ma non è mica detto che questo succeda in misura sufficiente: bisognerà vedere se le misure adottate con l’ultimo dpcm saranno sufficienti a riportarlo sotto ad 1, ovvero che i contagi (reali, non la sottostima purtroppo rappresentata dai dati ufficiali) comincino a calare davvero. Perché se con le zone rosse/arancione/gialle ci ritrovassimo un Rt a 0,7 è un discorso, se invece ce lo ritrovassimo a 1,2 sarebbe tutt’altro discorso.
Siccome Rt viene calcolato sui casi ospedalizzati, bisognerà aspettare verso fine novembre per valutare davvero l’impatto delle misure. In quello stesso periodo arriverà di certo l’onda di pazienti gravi dovuta ai contagi ante-dpcm, che potrebbe già da sola fare andare sott’acqua i sistemi sanitari di molte regioni. E se a quel punto Rt fosse rimasto sopra ad 1, sarebbero davvero dolori: il governo sarebbe costretto a inasprire le misure, ma sarebbe inevitabile contare a decine di migliaia i decessi evitabili di cui ho parlato prima. Tutti numeri calcolabili, come ho provato a spiegare nel mio post di fine ottobre, e di cui sicuramente sono coscienti gli esperti delle varie commissioni tecniche al lavoro sulla pandemia. Almeno, me lo auguro.
Chi vive la realtà degli ospedali ha già parlato in modo chiaro, chiedendo a gran voce un lockdown molto più stretto delle zone attuali. E chi vive fuori dagli ospedali? Se il comportamento diffuso è quello che tutto ciò che non è vietato allora si può fare, questo non può che porre un tema chiaro a chi governa. Se non bastano gli appelli al senso di responsabilità, bisogna dare indicazioni cogenti e chiare. Possibilmente una volta per tutte, senza uno stillicidio continuo di misure variabili.
Avanti pure, domani diventiamo arancioni. Mentre finisco questo post arrivano i dati di oggi 14 novembre, e per il quinto giorno consecutivo i decessi sono oltre 500…
Finisco rivolgendo un pensiero a chi è attualmente direttamente alle prese col virus: in primis a Stefano Bonaccini, poi agli altri amici che ci sono dentro, e in generale a tutte le persone che stanno attraversando questa malattia: a tutti loro un enorme augurio di guarire presto e bene! Ed un pensiero, anzi un grazie, a tutti coloro che sono in prima linea nella lotta contro il virus, sanitari negli ospedali e sul territori.