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Ho già detto e qui ripeto che i numeri della pandemia purtroppo non lasciano dubbi, e che ogni ulteriore ritardo verso una chiusura netta (si può ragionare sulla forma di lockdown, sulla sua durata, su quali attività consentire, ma non sulla sua indispensabilità) rischia di trascinarci in un vortice di dolore e di morte terribile. Il problema è che manca la consapevolezza diffusa (fra le persone ed anche fra i politici) di questa imminente prospettiva, mentre è vivissima la giusta preoccupazione per il lavoro, l’educazione e la fruizione di altri fondamentali diritti che evidentemente sarebbero colpiti da un nuovo lockdown.
Su un piatto della bilancia quindi ci sono il diritto al lavoro, alla scuola, alla socialità: diritti giusti, il cui sacrificio scatena proteste comprensibili e giustificate. Sull’altro piatto della bilancia ci sono le vite di tante persone che si sono già ammalate o stanno per ammalarsi di covid e che lo prenderanno in forma grave, per le quali avere un posto in ospedale o in terapia intensiva può fare la differenza fra la vita e la morte. Cosa è più importante? Secondo me, e credo per tutti, non c’è dubbio: per quanto sia triste, possiamo rinunciare per un mese o due ad alcuni diritti pur di evitare che migliaia di persone muoiano per mancanza di posto negli ospedali. Solo che c’è uno sfasamento temporale: lavoro, scuola, diritti sono un problema di oggi, i morti per mancanza di cure sono un problema di domani. E tanti oggi non credono che la situazione sia così grave, e quindi si oppongono ad un lockdown perché pensano che si possa ancora fare diversamente. Su questo problema di analfabetismo matematico rischiamo di immolare migliaia di vite.
Ho provato a fare un disegno in cui illustro la differenza fra un andamento lineare (la retta) e un fenomeno esponenziale (come il virus). Lineari sono quasi tutte le questioni con cui abbiamo a che fare nella vita di ogni giorno, e quindi anche il buon senso comune è tipicamente lineare. Se ho il 25% di posti in terapia intensiva occupati, la reazione naturale è pensare che ne ho ancora tre quarti liberi. E’ un ragionamento giusto in condizioni normali, perché è un ragionamento lineare. Di fronte ad un fenomeno esponenziale, le domande da farci invece sarebbero due. Primo, quanti raddoppi posso permettermi? Se parto dal 25% me ne posso permettere due: il primo mi porta al 50% di occupazione, il secondo al 100%. Facile da capire. Seconda domanda: quale è il tempo di raddoppio? Quello è facilmente desumibile se ci guardiamo indietro, sapendo che approssimare in modo lineare quanto abbiamo alle spalle è una sottostima, ma comunque ci fornisce una indicazione sensata. E la risposta è: il tempo di raddoppio è dieci giorni, o poco meno. Pertanto, se parto dal 25% di posti occupati, ho 20 giorni di tempo prima del tracollo.
Nel disegno che ho messo, in cui l’esponenziale e la retta sono esemplificative, si capisce però che l’esponenziale fino ad un certo punto è più bassa, e quando parte è quasi impercettibile. E così c’è stato il periodo in cui i negazionisti hanno sguazzato, perché il covid era diventato un fenomeno carsico (dopo lo scorso lockdown appunto). Oggi dove sono finiti quelli che pontificavano sul virus che era scomparso e sui gravi danni che ci avrebbe arrecato l’uso delle mascherine? E i politici che a suo tempo hanno cavalcato quell’onda, spingendo anche per la riapertura di attività che sarebbe stato meglio tenere chiuse oggi che fanno? Forse si preparano a fare sciacallaggio sulla nuova impennata del virus, passando da negazionisti ad allarmisti… Ma andiamo avanti sull’asse del tempo, dopo un po’ l’esponenziale si alza e a quel punto i negazionisti devono tacere, perché è chiaro che il virus c’è ancora. Però è un fenomeno contenuto, e quindi il tema si sposta sul dire “mai più nuovi lockdown”. Cosa più che giusta, se fossimo in grado di contenere il fenomeno, ma invece sbagliatissima se basata solo sulla speranza che il virus si auto-limiti. Ma andando avanti, ad un certo punto la curva si alza, e comincia a fare danni seri. E’ il momento dell’ooops, cioè la fase di questa seconda metà di ottobre. Ci si rende conto che il contenimento non ha funzionato ed è evidente che occorre fare di più. Quanto di più? Se a questo punto prevale un atteggiamento ancora lineare, siamo finiti. Esempi di atteggiamenti lineari: aspettiamo di vedere come evolve la situazione, procediamo a provvedimenti graduali eccetera. Invece occorre essere consapevoli che la fase successiva sarà: è troppo tardi. Perché l’esponenziale decolla, e a quel punto non lo fermi più e fa una strage.
Quindi torniamo a noi. C’è un tempo di latenza (vale a dire una distanza temporale) fra i contagi e le ospedalizzazioni, e fra queste ultime e i ricoveri in terapia intensiva. Per questo ogni provvedimento si prenda a livello governativo, esplicherà i suoi effetti con un certo ritardo: 10/15 giorni in relazione ai contagi, 15/20 giorni rispetto alle ospedalizzazioni, 20/25 giorni sui ricoveri in terapia intensiva (e sui decessi). Non sono numeri a caso, perché abbiamo già un’esperienza su cui fondarci, il lockdown di marzo-aprile. Come ho già scritto, il giorno del lockdown (8 marzo) c’erano 650 persone in terapia intensiva, la curva è salita fino a 4068 e quel picco è stato raggiunto 26 giorni dopo (3 aprile).
I dati di ieri ci parlano di 1746 pazienti in terapia intensiva. La proiezione a 26 giorni, con questo ritmo di crescita (che è lo stesso di marzo sui casi gravi) ci porterebbe a quasi 11 mila casi in terapia intensiva, che sarebbe già oltre l’attuale capacità delle nostre strutture sanitarie. Questo sarebbe il picco potenziale se fossimo andati in lockdown stamattina. Per questo aspettare ancora sarebbe davvero un errore terribile.
In Emilia Romagna siamo messi meglio, che però in tempo di virus esponenziale significa solo avere qualche giorno di vantaggio. Ieri l’assessore Donini ha fornito i dati delle ospedalizzazioni Covid, sono sui giornali di oggi. 10 ottobre 241 casi, 20 ottobre 531 (+120%), ieri 30 ottobre 1157 (+118%). Come si vede il tempo di raddoppio è inferiore a dieci giorni. Proiettati a 30 giorni significherebbero 10 mila posti letto. I dati di ottobre della terapia intensiva sono ancora ballerini, perché il trend sulla terapia intensiva si stabilizza con un certo ritardo (ovviamente) rispetto agli ospedalizzati, dal 10 ottobre al 30 ottobre i posti occupati in terapia intensiva in ER si sono moltiplicati per 7 (quindi hanno fatto tre raddoppi e non due) ma è ragionevole pensare che la crescita si stabilizzerà sulla curva degli ospedalizzati, che è la stessa già riscontrabile nelle terapie intensive del resto d’Italia: un raddoppio ogni dieci giorni, forse nove.
Provvedimenti graduali? Chiudere alcune attività tenendo aperte le scuole? Rivedere la questione dei trasporti e dell’affollamento sui mezzi? Varare nuove procedure che rendano possibile la coesistenza col virus mantenendo un certo livello di funzionalità per preservare l’economia, l’educazione, una certa socialità? Tutte idee interessanti per il futuro, perché la vita dopo il lockdown sarà possibile ed è nostro dovere cominciare a costruire le condizioni subito per prepararla. Ma dopo, appunto. Invece, ritardare la decisione di intervenire con fermezza adesso, magari per sperimentare forme graduali che purtroppo non ci possiamo più permettere, visti i numeri e la tempistica che ho tentato di spiegare, sarebbe un errore madornale, un tributo troppo alto che si tradurrebbe in migliaia di decessi evitabili, per non parlare dei danni comunque causati dal covid anche a chi gli sopravvive, tema che tocca moltissimi di quanti passano dalla terapia intensiva per riuscire a curarsi.
Il governo cerchi di fare meglio in termini di organizzazione della didattica a distanza, di assistenza ai disabili, di sostegno alle attività economiche, di fare in modo che nessuno si senta abbandonato (un giorno magari rifletteremo su quanto fatto dal maggio ad oggi per prepararci allo scenario odierno), ma deve agire senza indugio, chiudere subito. Attendere ancora comporterebbe rischi enormi che pagheremmo in termini di vite umane, un tributo inaccettabile all’analfabetismo matematico perché attendere ancora non avrebbe altra spiegazione: urgono statisti che capiscano qualcosa anche di matematica.