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Il 20 settembre ci sarà il referendum per decidere il taglio del numero dei parlamentari italiani. E’ una votazione che non mi entusiasma, e sento il dovere di spiegare perché.
Da ormai molti anni viviamo in un clima di diffusa e crescente mancanza di stima verso la classe politica. Al di là dei piccoli e grandi scandali che hanno contribuito a far crescere questa disaffezione, e dei correttivi normativi – spesso doverosi – che sono stati introdotti sull’onda del clamore mediatico di tali scandali, credo ci si debba interrogare sulle ragioni profonde di questo clima di sfiducia, e cosa sia opportuno fare per rimediare.
Personalmente sono convinto che il problema di gran lunga maggiore sia la qualità delle persone che vanno a ricoprire ruoli di rappresentanza politica. Bisognerebbe scegliere persone capaci di produrre risultati significativi nell’ottica del bene comune. Consegnando agli elettori la possibilità di informarsi, di conoscere e di scegliere: sull’informazione ci sarebbe da approfondire il ruolo dei media, sulla conoscenza dovremmo parlare della disponibilità ad interessarsi senza fermarsi all’apparenza, sulla scelta non c’è la garanzia che gli elettori siano in gradi di prenderci sempre, ma comunque credo possano fare meglio di quanto accada attualmente, e in ogni caso sentirebbero proprie le scelte, cosa che invece non accade ora.
Da ormai molti anni, infatti, il Parlamento viene riempito di figure anzitutto funzionali a logiche di partito o di fedeltà a questo a quel leader politico. Se sei nel circuito giusto, anche se non sei una cima, vieni candidato, e se non ti eleggono vieni ripescato in un modo o nell’altro. Se invece non hai gli agganci giusti, anche se sei un fuoriclasse, non hai speranze. Questi meccanismi, che non sono basati né sul merito né sul consenso personale, fanno sì che in Parlamento (e al Governo) arrivino sia persone di valore (che ci arriverebbero con ogni probabilità anche se a scegliere fossero gli elettori) che figure assai più discutibili, osservando le quali cresce la disaffezione e la rabbia verso la classe politica. E’ inevitabile che facciano più notizia loro di quelli bravi: se vedi ministri o parlamentari che stentano con l’italiano e la geografia, figure senza un mestiere e palesemente inadeguate al ruolo che ricoprono, è inevitabile chiedersi perché mai si debbano pagare lautamente personaggi che appaiono miracolati ad una lotteria che nessun cittadino avrebbe voglia di finanziare.
È pensando a loro che gli elettori decideranno che è meglio avere 230 deputati e 115 senatori in meno. E sulla base di quel risultato, i partiti che hanno promosso, oppure accettato più o meno a malincuore, oppure cavalcato per convenienza il referendum, canteranno vittoria. Ma cosa cambierà nella sostanza se i 400 deputati e i 200 senatori superstiti continueranno ad essere scelti con le stesse logiche di adesso? Poco e niente. Come pure tenendo tutto così com’è ora.
Intendiamoci. Non voglio sminuire l’importanza di dare segnali concreti anche sul fronte della sobrietà. Sono stato fra i consiglieri regionali che per primi hanno volontariamente rinunciato al vitalizio. Sono fra coloro che si sono votati il taglio delle indennità e financo del TFR, e l’azzeramento del fondo di funzionamento dei gruppi regionali. Ho un’attenzione maniacale ad evitare spese evitabili, tanto che nell’ultimo mandato regionale ho chiesto zero rimborsi e niente per le missioni. Insomma, predico e pratico sobrietà. Ma non mi faccio illusioni.
Perché tanti al vitalizio non ci hanno mica rinunciato. Perché ci sono regioni dove i consiglieri hanno indennità molto più alte rispetto a quelle dei consiglieri emiliano-romagnoli, ma non mi risulta che ci sia una spinta per fare una legge che le parifichi alle nostre, come sarebbe giusto. Perché in tanti casi concreti, quando i riflettori sono lontani, si preferisce fare come niente fosse.
Se ci fosse una vera consapevolezza da parte dei partiti sulle riforme necessarie per la sobrietà della politica, ci sarebbe molto da fare. Invece tutto si riduce a cavalcare in modo più o meno convinto provvedimenti non sostanziali come questo referendum, per dimostrare attenzione al tema anche se è chiaro che non porterà ad alcun miglioramento effettivo. Soprattutto perché, lo torno a dire, non si incide sui meccanismi di selezione e di scelta delle persone.
Delle diverse riforme fatte dalla Regione Emilia-Romagna in questo campo negli anni scorsi, ce n’è una che a mio avviso ha inciso in modo significativo sulla qualità della rappresentanza politica, ed è l’abolizione nel 2014 del cosiddetto listino del presidente. Non lo dico solo perché a suo tempo fu decisiva per riuscirci una mia accelerazione, poi raccolta dall’allora collega e segretario regionale del PD Stefano Bonaccini. Lo dico perché sono convinto che la qualità media dei consiglieri regionali, da due mandati a questa parte, sia aumentata. Non c’è nessun consigliere, nell’Assemblea Legislativa dell’Emilia-Romagna, che non abbia ricevuto molti voti – tipicamente migliaia – di preferenza personale. Si diceva in passato che il listino bloccato avrebbe consentito di inserire nel Consiglio personalità eccelse ma non popolari, ma se guardiamo con onestà intellettuale a come praticamente era utilizzato, ritroviamo più facilmente una camera di compensazione verso equilibri politici che la ricerca delle eccellenze. Torno a dirlo, sto parlando di qualità media: ho anch’io il ricordo di persone di valore che sono entrate nel listino bloccato, come pure vi sono anche persone votatissime che non trovo eccellenti. Però un tempo c’erano casi palesi di figure che non sarebbero riuscite a farsi votare nemmeno dal proprio condominio e che però ricoprivano la carica di consigliere regionale, mentre adesso non succede più. Credo che questo faccia bene alla credibilità della politica, perché il consenso popolare non è tutto, ma è un comunque un dato oggettivo.
In Parlamento quei casi palesi di figure inadeguate al ruolo ci sono tuttora, i capi e capetti che ne determinano le carriere sono tuttora più interessati alla fedeltà che alla qualità delle persone, e senza incidere sui meccanismi di selezione – dando ai cittadini la possibilità di scegliere davvero – la riforma dei numeri di deputati e senatori è purtroppo soltanto “ammuina”. Quindi mi perdonerete se non riesco a scaldarmi in un senso o nell’altro in vista del referendum che ci sarà il mese prossimo.