Viviamo giorni in cui il coronavirus è la notizia di cui si parla continuamente. Non sono un esperto di malattie infettive, e la prima e principale raccomandazione che faccio è proprio quella di affidarsi agli esperti e dare fiducia ai provvedimenti assunti dalle autorità per fronteggiare il fenomeno. Nondimeno, mi pare possibile ed utile fare qualche riflessione “a latere”. Stiamo facendo una esperienza in larga misura nuova e che, per quanto spiacevole, ha sicuramente delle cose da insegnarci. Butto giù in modo sparso alcune considerazioni, con la speranza di poterci tornare sopra a emergenza finita, speriamo presto e con danni limitati.
1) Esiste una dualità nelle sensazioni e nei comportamenti, per cui si rischia di passare direttamente dalla noncuranza alla psicosi. L’idea di adottare precauzioni aggiuntive senza farsi prendere dal panico fatica a prendere piede: chi si sente tranquillo tende a non modificare minimamente i propri comportamenti (e quindi a correre rischi inutili), mentre chi si sente in pericolo rischia di eccedere in precauzioni. Insomma, come in altri casi, un processo deterministico viene capito, mentre uno probabilistico non viene proprio compreso.
2) In questo senso credo vada valutato (o rivalutato) il ruolo dell’informazione: c’è chi accusa i media di aver sparso allarmismo, ma senza allarme – e senza provvedimenti restrittivi – le persone avrebbero modificato i propri comportamenti? Mi pare che l’esperienza ci dica di no. Al tempo stesso è chiaro che occorra fare passi avanti importanti sulla comunicazione del rischio. Tema importante non solo in caso di epidemie ma anche per altre emergenze che il pianeta si trova a fronteggiare.
3) E’ vero che non stiamo parlando di un virus altamente letale, ma è comunque caratterizzato da una modalità infettiva estremamente efficiente e pericolosa (alta trasmissibilità, lungo periodo di incubazione, infettività anche senza sintomi). L’unico modo per arginare il contagio è quello di ridurre gli scambi sociali, l’alternativa sarebbe stato lasciare campo libero alla trasmissione, col rischio di una pandemia. Se stiamo dalla parte della prevenzione, non dovrebbero esserci dubbi.
4) Anche se il virus non è altamente letale, comunque presenta una percentuale significativa di ricoveri in rianimazione, e nella valutazione sui provvedimenti è giusto considerare che una diffusione incontrollata avrebbe potuto portare al collasso il sistema sanitario e le possibilità di curare al meglio le persone malate. Anche in questo caso i numeri contano molto.
5) Una emergenza come questa richiede una risposta collettiva, non un coacervo di risposte individuali diverse. Sappiamo che questo è un aspetto in cui gli italiani non partono certo avvantaggiati, e proprio per questo bisogna lavorarci seriamente.
6) Bene che il virus non fosse altamente letale, ma se fosse invece stata una epidemia molto più pericolosa negli esiti, saremmo stati pronti a fare tutto il possibile per fronteggiarla? In effetti è il caso di mettere a punto qualche piano di emergenza da tenere da parte per il futuro (sperando di non doverlo mai utilizzare, ma intanto meglio averlo). Insomma, proviamo a vivere questa emergenza anche come un test, e facciamone tesoro
7) Chi ogni tanto si lamenta quando si parla di merito e di meritocrazia, chi addirittura classifica questo argomento come di destra, tenga a mente questo caso come esempio. E cerchi di capire che le competenze e le capacità possono davvero fare la differenza fra vivere e morire. Aggiungo: competenze mediche, certamente, ma anche organizzative, logiche, matematiche. Più in generale è il rapporto fra la scienza e le politiche cheva registrato e messo a punto.
PS Siccome ogni tanto qualcuno chiede a cosa servono le Regioni, beh questo è un discreto esempio.