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Il tavolo sull’elettrosmog, che è stato operativo nel Comune di Bologna dal 2004 al 2009, ha in quel periodo risolto molte situazioni conflittuali relative all’installazione di antenne per la telefonia mobile. Coinvolgendo tutti gli interlocutori, dai gestori telefonici ai cittadini, passando per AUSL, ARPAE, tecnici comunali e quartieri, è stato infatti possibile individuare soluzioni soddisfacenti, evitando le distorsioni che sono inevitabili se si lascia il tema solo alle dinamiche di mercato. A distanza di dieci anni, l’avvento della tecnologia “5G” implicherà diverse nuove installazioni e adeguamenti degli impianti esistenti: sono contento che in questi giorni il Comune di Bologna abbia annunciato l’intenzione di riattivare quella esperienza. La notizia è uscita in relazione alle polemiche sul nuovo impianto in via Saliceto/via Jacopo Di Paolo, ma comunque la valenza del tavolo è generale e molto importante in prospettiva.
Avendo ideato e guidato il tavolo nel mandato 2004-2009, ho ben presenti le differenze fra la procedura consueta di autorizzazione delle antenne e quella invece guidata dal tavolo di confronto. Quando un gestore individua una zona non adeguatamente coperta dal segnale, i suoi tecnici identificano sulla mappa un’area (centrale nella zona scoperta) in cui andare a collocare un nuovo impianto. È proprio in questa fase che il tavolo partecipato può fare la differenza: a fronte dell’esigenza del gestore, si ragiona insieme sulla collocazione ottimale dell’antenna, in modo che possa soddisfare l’esigenza tecnica del gestore col minore impatto possibile sulla popolazione. In questo modo quasi sempre si riesce a collocare l’antenna facendo sì che il campo elettromagnetico su abitazioni e luoghi sensibili sia largamente al di sotto della soglia di legge di 6 v/m, e spesso a livelli paragonabili al campo e-m “di fondo”, che in città si colloca attorno a 1 V/m. Ed è in questo contesto che aree comunali o comunque pubbliche possono essere messe a disposizione, per favorire la soluzione a minore impatto, e destinando gli introiti (che è corretto siano in linea con i valori medi di mercato) a monitoraggi, studi e mitigazioni.
Se invece manca la funzione di mediazione garantita dal tavolo partecipato, il gestore procede alla ricerca di un privato disposto ad accogliere l’antenna all’interno dell’area individuata, finché non lo trova. Purtroppo, se questa dinamica non viene guidata, può facilmente capitare che la soluzione individuata non sia affatto ottimale, e che quindi i valori di campo sulle abitazioni siano prossimi alle soglie di legge, ovvero 4-5 v/m. Lo spiego con un esempio. Supponiamo che l’area in cui serve una nuova antenna sia una zona residenziale con palazzi grandi e piccoli. È probabile che il punto ottimale dove collocarla sia il tetto di un palazzo alto circondato da edifici più bassi. Questo perché, visto che le emissioni dell’antenna sono coni laterali inclinati leggermente verso il basso, il palazzo sotto l’antenna rimane comunque protetto, gli edifici bassi che lo circondano restano sotto il cono di emissione, e quando esso raggiunge gli edifici circostanti si è ormai ad una distanza tale che comunque l’impatto è molto ridotto. Viceversa, un edificio basso circondato da palazzi alti sarebbe la scelta peggiore, perché l’emissione laterale incontrerebbe presto le abitazioni attorno, con valori di campo elettromagnetici prossimi alla soglia di legge.
Ma nella pratica la soluzione che è più probabile venga individuata da una procedura non guidata sarebbe la peggiore, perché nel palazzo alto il canone andrebbe suddiviso tra i tanti condomini e sarebbe quindi molto meno appetibile, e siccome basta uno solo contrario a respingere la richiesta è molto probabile che accada. Viceversa, nella palazzina piccola il canone risulterebbe più appetibile ed essendoci meno persone è meno probabile che ci sia un voto contrario. Proprio questo è un limite che andrebbe superato, perché è un peccato che l’opposizione di un singolo condomino possa legalmente bloccare una collocazione adeguata, lasciando campo libero a soluzioni molto peggiori per la salute della collettività.
Queste scelte vengono poi prese molto spesso sulla base di informazioni imprecise e di una cultura che vede molto diffusi due atteggiamenti pregiudiziali, favorevole o contrario alle nuove tecnologie, che a ben vedere sono entrambi problematici. Da un lato, è un peccato affidarsi solo ai limiti di legge senza tener nessun conto del principio di precauzione. E dall’altro, respingere ogni ipotesi senza sapere distinguere fra soluzioni ottimali ed installazioni problematiche, porta inevitabilmente a favorire le seconde. In questo senso, bisogna operare per diffondere una cultura adeguata, spiegando che sotto l’antenna i valori di campo sono molto ridotti, che la propagazione è sui coni di potenza, che il campo elettromagnetico decresce col quadrato della distanza, che la distanza desiderabile dell’antenna non è (come ovvio) la minore possibile, ma nemmeno la maggiore possibile (perché poi per collegarsi il telefonino deve accrescere la potenza di emissione, e quello lo teniamo molto più vicino), e in questo senso non è detto che le antenne debbano essere il minor numero possibile (che poi funzionerebbero a piena potenza) ma in numero tale da minimizzare i valori di campo elettromagnetico nella fornitura del servizio dati e telefonico.
Sarebbe inoltre utile anche una riflessione sul piano normativo, non solo per l’aspetto dell’unanimità nell’assemblea condominiale, ma anche considerando che chi beneficia del canone (il proprietario del sito su cui viene collocata l’antenna) tipicamente viene impattato molto meno di chi vive intorno, che invece si ritrova l’aumento del campo elettromagnetico senza alcun beneficio economico. A tutte queste considerazioni, che valgono per i telefoni cellulari del passato e del presente, si aggiunge la specificità della tecnologia 5G, che evidentemente estremizza ulteriormente i concetti sopra espressi sul numero delle antenne e la loro potenza.
Sono tutte valide ragioni per cui vale la pena che sia attivo un tavolo partecipato delle antenne, a Bologna come in altre città. Mi auguro davvero che l’esperienza precedente possa tornare utile in questa ripartenza del tavolo partecipato delle antenne.
PS. Sull’esperienza del tavolo 2004-2009, il rapporto del tavolo e un video di allora: