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Alcune idee per ripartire

Nella quaresima politica a cui ci hanno consegnato i nostri elettori, come PD siamo chiamati a fare con umiltà un bell’esame di coscienza.
Per farlo davvero, cominciamo col liberarci dalla tentazione di cavarcela con una ripetizione delle formule di rito. Radicamento territoriale, ripartire dai circoli, allargare il campo, ragionare sulle alleanze, stare uniti, coinvolgere la società civile, consultare gli iscritti: tutti buoni propositi ma non dirimenti. E lasciamo da parte anche la nostalgia di un passato che non può tornare e che peraltro gli elettori hanno sonoramente bocciato nelle urne.
Serve una riflessione profonda: senza la pretesa di avere la verità in tasca, condivido alcuni spunti.

Presi fra due fuochi

Era già successo al referendum costituzionale che sul “No” si coagulassero posizioni fra loro antitetiche. Da un lato chi riteneva eccessive le nostre riforme, dall’altro chi le riteneva troppo timide. Da un lato chi voleva conservare intatto il sistema, dall’altro chi avrebbe voluto smantellarlo. Sono punti di vista opposti che ci siamo ritrovati a queste elezioni. Da un lato chi vorrebbe più stato, più garanzie, più assistenza ha votato M5S, senza troppo chiedersi con quali risorse ottenere quei risultati. Dall’altro chi vorrebbe meno stato, meno tasse, meno spese in assistenza agli immigrati, ha votato Lega, senza troppo valutare che a beneficiare di una flat tax sarebbero soprattutto i più ricchi. Sento accomunare queste due proposte nella categoria “populismi”, sommando i voti di Lega e M5S, ma teniamo presente che sono due lati di una tenaglia che sull’uso delle risorse (e non è la cosa meno importante in politica) non sono semplicemente diversi, ma opposti.

Regali fatti agli avversari

E’ stato un errore lasciare campo libero ai nostri avversari politici su alcuni temi di importanza cruciale. Quando qualcuno di noi ha provato a coprire quei temi, ovviamente con soluzioni diverse da quelle proposte da Lega e M5S, ha spesso trovato il fuoco amico ad accoglierlo con l’accusa di inseguire i temi altrui.

E’ successo a livello nazionale al ministro Minniti, che ha affrontato con serietà i temi della sicurezza e dell’immigrazione, e che si è trovato considerato con sufficienza o imbarazzo da alcuni influenti intellettuali d’area, che immagino avranno ritenuto calzante la caricatura fascisteggiante fattane da Crozza. Anche a livello locale, quando alcuni di noi hanno sottolineato l’importanza di coniugare solidarietà e rispetto delle regole, senza inseguire logiche giustificazioniste sulle occupazioni abusive, ci siamo presi qualche accusa di filo-leghismo da alleati e compagni di partito. E per quanto riguarda le riforme sui diritti, forse ha contato qualcosa non aver saputo sempre declinare la parola diritti insieme alla parola doveri. Tutto questo ha lasciato aperto un varco importante in cui si è infilata la Lega, e chissà se qualcuno adesso sta cominciando a comprenderlo.

Sulla sobrietà della politica, in Emilia-Romagna abbiamo abolito i vitalizi e ridotto in modo drastico le spese della politica, da ultimo con la LR 1/2015. Peccato che nessuna altra regione guidata dal PD ci abbia seguito su questa strada: vogliamo parlarne? La riforma costituzionale prevedeva un tetto alle indennità dei consiglieri regionali, ma è stata bocciata. Inoltre non abbiamo avuto la forza di approvare la legge Richetti sul ricalcolo dei vitalizi pregressi. Col risultato di lasciare il tema in mano ai grillini, un errore grave che abbiamo pagato a caro prezzo.

Il (buon) governo non basta

Il miglioramento degli indicatori economici italiani è indubbio, ed è corretto rivendicare l’importanza di molte riforme realizzate dal nostro governo. Prendiamo però atto che non è bastato. La nostra ragionevole proposta di equilibrio fra diritti sociali e tassazione è stata bocciata sia da chi vuole più diritti sia da chi vuole meno tasse: elettori che per motivi diversi si sono sentiti esclusi o non garantiti da noi. E il fatto che abbiano aderito a proposte politiche poco credibili, per quanto allettanti, pone a noi un problema in più. Ci chiama a ragionare non solo sulla sostanza della nostra proposta, ma anche sulla credibilità nostra e di una narrazione tutta incentrata sulla retorica del buon governo. Se non siamo in grado di riconoscere, accanto ai buoni risultati, anche le cose che non vanno, i nostri fallimenti, le cose che ancora non siamo riusciti a risolvere, finiamo per rendere credibili anche le narrazioni antagoniste, che dipingono una situazione in cui va tutto male. E gli elettori, chiamati a scegliere fra bianco e nero, fra “va tutto bene” e “va tutto male”, hanno fotografato il loro sentimento prevalente: negativo. Forse l’esame di coscienza non ci serve solo a valle della sconfitta, ma dovrebbe diventare una caratteristica di credibilità da portarci dietro sempre.

Una proposta di cambiamento

Se gli elettori cercano nel voto anzitutto una speranza di cambiamento, non è parlando solo dei buoni risultati che potremo convincerli a confermarci la loro fiducia. E se questo è vero a livello nazionale, ancora di più vale in realtà locali dove il PD o i partiti che lo hanno preceduto sono al governo da decenni. Abbiamo bisogno di un PD che tenga insieme buon governo e spinta verso il cambiamento. Questo significa che dobbiamo trovare in noi stessi la forza e la lucidità per affiancare all’elenco dei buoni risultati da rivendicare, anche parole di verità sulle cose che non vanno e a cui intendiamo mettere mano. E, diciamocelo, qualcuna ce n’è.

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Partito Democratico, Riflessioni

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