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La vittoria al primo turno di Virginio Merola al termine della notte più buia del centrosinistra bolognese è un risultato notevolissimo e in larga misura inatteso anche per gli osservatori più esperti. Nel fargli gli auguri di buon lavoro Bologna si chiede se il bagliore della sua vittoria sia in effetti l’alba di un nuovo giorno che sta sorgendo. Il programma del nuovo Sindaco è ambizioso e concreto, ma ora deve tradurlo in pratica e dimostrare ai bolognesi che non si tratta solo di parole, che il cambiamento c’è e si vede. E deve farlo in un contesto di sfide forti: qui vorrei richiamarne cinque.
1. Di nuove infrastrutture negli ultimi vent’anni si è molto parlato ma si è realizzato molto poco. Al di là del fatto che se un progetto è intrinsecamente discutibile prima o poi è fatale che i nodi vengano al pettine, l’impressione è che vi sia una capacità diffusa di far naufragare i progetti, buoni e cattivi che siano. Tante volte, con tram, metrò automatico, metro-tramvia, tram su gomma, progetti per la nuova stazione e così via, ai cittadini la svolta è parsa a portata di mano per poi sfumare in dissolvenza. Per ritrovare la capacità di fare serve coinvolgimento e convergenza, e poi un deciso passaggio dai progetti alla realizzazione delle grandi e piccole opere, a partire da pedonalizzazioni vere e piste ciclabili degne di questo nome.
2. Bologna non può solo pensarsi come il centro formativo e amministrativo, spesso lento e sonnacchioso, di una regione operosa. Deve ritrovare un ruolo ed una focalizzazione anche sul piano industriale ed economico, tornare al centro della scena non con le parole ma coi fatti. Il Comune non può fare da solo, ma molto può fare per coordinare realtà che operano spesso ognuna per conto suo, per pretendere che i tecnopoli non siano solo la sommatoria degli orticelli di ricerca pre-esistenti, per forzare poche e ben definite scelte di campo su cui concentrare investimenti e sinergie. Per giocare le partite del futuro globalizzato bisogna smettere di pensarsi come cellule staminali totipotenti e scegliere di crescere specializzandosi verso poche e definite scelte condivise.
3. Questi importanti passi avanti vanno accompagnati dalla difesa dei diritti dei cittadini nella sanità, nella scuola, nei diversi campi del welfare. Una difesa che non sia pura conservazione, ma la capacità di cambiare la forma per difendere e migliorare la sostanza. Tutto questo deve però fare i conti con un contesto fortemente critico sul piano delle risorse: fra i tagli indecenti del governo nazionale e le profonde ristrettezze di bilancio comunale, c’è poco da stare allegri. Ma proprio questa è l’occasione per dire no ai tagli lineari, cogliere l’opportunità per ripensare al modo di spendere le risorse, andare nel merito delle singole voci di spesa, trovare il coraggio della verità sapendo anche dire dei no per poter essere davvero credibili quando invece si dice di sì, rimotivando anche le tante persone che possono dare un contributo.
4. C’è da consolidare o ricostruire un tessuto connettivo e un comune sentire. Serve partecipazione, anzitutto, sapendo che non si parte da zero ma ci sono esperienze importanti dentro e fuori dall’amministrazione da riprendere, coinvolgere ed espandere. Serve capacità di dialogo per uscire dal clima di conflittualità permanente in cui non esistono le ragioni dell’altro, l’avversario è colui con cui invece avrebbe senso stipulare un nuovo patto, si manca spesso merito e bersaglio delle battaglie. Il Sindaco in alcune occasioni ha detto “no a guerre fra poveri”, e ha fatto bene. E’ chiaro che è un clima che potrà essere definitivamente superato solo con la capacità di nuove sintesi e dimostrando che l’unione fa la forza, anche nella difesa dei diritti.
5. C’è una avventura politica, quella del PD, che attende compimento: serve il coraggio di insistere sul progetto di una forza politica nuova, aperta, plurale. Soprattutto bisogna smettere di dire belle parole salvo poi far prevalere nelle scelte concrete logiche d’apparato del tempo che fu. In campagna elettorale il Sindaco ha detto chiaramente che se il PD dovesse tornare a dividersi lui non si iscriverebbe a nessuna delle due componenti risultanti, legando così la sua avventura politica alla sfida per costruire il PD. Non può certo fare da solo, ma è una sponda importante su cui deve poter contare chi si batte per evitare un ritorno al passato, per costruire un partito in cui possano sentirsi a casa propria in tanti, per definire un riformismo vero costruito non sulla riproposizione degli schemi del passato ma sul presente e sulle sfide del futuro.
Di fronte a queste sfide, la vittoria alle elezioni non può rappresentare un punto di arrivo ma di partenza. Questo è tanto più vero in quanto sappiamo, e io posso testimoniarlo direttamente, che Merola non è stato scelto in un caminetto ristretto di alti dirigenti ma anzi ha dovuto vincere resistenze importanti per farsi strada dal basso prima nella selezione interna al PD, per prevalere poi nelle primarie di gennaio ed infine per imporsi alle elezioni di maggio. Pertanto questo non è il momento di sedersi e riposare, caro Virginio, ma di mettere le gambe in spalla e cominciare a correre, senza paura di combattere la giusta battaglia. Bologna se lo merita, e ce lo aspettiamo tutti noi che in questa sfida abbiamo creduto.
(articolo per Il Mosaico, pubblicato sul n. 40)