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Oggi sono intervenuto all’istruttoria sul welfare promossa dal Comune di Bologna.
Di seguito il testo del mio intervento.
Grazie dell’invito. L’argomento è ampio e potrei parlare di molte cose, anche in ragione della responsabilità che ho avuto come amministratore in questo ambito. Preferisco però limitarmi ad alcune affermazioni di principio per poi concentrare il mio contributo su un tema specifico che ritengo meriti un’attenzione maggiore.
La riforma dei servizi sociali varata dalla Giunta di cui ho fatto parte si basava, o a mio avviso doveva basarsi, su alcuni capisaldi, che vorrei brevemente richiamare.
a) Il decentramento: è l’elemento che è emerso con maggiore evidenza. Ora, è certamente importante portare i servizi il più vicino possibile al cittadino, ma il decentramento non può essere inteso come uno scaricare pari pari i problemi sui quartieri. Se la riforma viene percepita solo lungo l’asse del decentramento è chiaro che si corre il rischio di perdere altre dimensioni importanti.
b) L’integrazione è un altro fattore fondamentale: anzitutto l’integrazione fra sociale e sanitario, con un recupero di un rapporto di piena collaborazione con l’AUSL, ma anche con gli aspetti educativi (realizzata per ora solo nel Comitato di Distretto) e in prospettiva ancora più ampia protesa ad abbracciare settori come la casa e così via. L’ottica che mette al centro il cittadino ci richiede di guardare ai bisogni della persona in modo complessivo, senza spezzettarli lungo le esigenze organizzative della pubblica amministrazione.
c) Ma il terzo non meno importante elemento è la separazione fra le funzioni di gestione da un lato e quelle di indirizzo, pianificazione e controllo dall’altro. E’ una distinzione utile al rapporto fra la politica e la macchina amministrativa, ma non soltanto. E’ un errore grave continuare a pensare che chi gestisce debba anche pianificare e controllare: ne va a scapito della qualità ma soprattutto l’incombenza della gestione finisce per schiacciare la progettualità.
Oggi nella sanità, dove la gestione è affidata alle aziende sanitarie ed è quindi chiaramente separata, il rischio è quello di pensare che le aziende possano anche decidere la politica sanitaria. Per questo è stato importante riconquistare un ruolo al Comune, esplicitando la delega alla salute e ricoprendo un ruolo importante nella Conferenza Territoriale Socio-Sanitaria. Per questo ritengo sia stato un errore della Giunta Delbono togliere il riferimento alla salute nella denominazione del settore, e fare passi indietro da un impegno in prima linea sulla definizione della politica sanitaria.
Viceversa, nei servizi sociali che sono di competenza comunale è ancora da conquistare pienamente l’idea che chi pianifica non debba per forza anche gestire. E’ una sfida presente anche nei contratti di servizio delle ASP e nei rapporti fra il settore centrale e i servizi decentrati. Ma è una sfida importante, da combattere e vincere.
Tutti e tre questi assi sono portanti, e nel loro insieme sono presupposto e riferimento per compiere il salto di qualità, ossia vincere le sfide del futuro attraverso l’innovazione.
E qui vengo al tema specifico su cui vorrei richiamare l’attenzione di tutti.
In relazione alla sfida che ci è posta dall’allungamento della vita e dal conseguente aumento della quota di popolazione anziana e spesso sola, bisogna dire cose chiare.
E’ certo importante poter ricoverare gli anziani in case di riposo, case protette e residenze sanitarie assistite. Ma è sufficiente e finanziariamente sostenibile in prospettiva? Chiaramente no.
Le attuali esperienze di assistenza domiciliare e di e-care hanno certo l’effetto positivo di consentire agli anziani di restare nelle loro abitazioni. Ma hanno sinora consentito di contenere i costi in modo significativo e quindi sono già un modello su cui puntare anche sotto il profilo della sostenibilità? Anche qui la risposta è no.
Questi due no ci dicono con chiarezza che occorre definire un nuovo modello di assistenza che coniughi domiciliarità con flessibilità e costi inferiori, se vogliamo arrivare ad uno schema davvero efficace e sostenibile. Questo è dunque il punto chiave su cui investire.
Prima di proseguire faccio presente che sui posti letto e sulla attuale assistenza domiciliare si sono concentrate tutte o quasi le risorse aggiuntive arrivate attraverso il fondo per la non autosufficienza, che invece costituiva (e costituisce) l’occasione d’oro per fare investimenti e non semplice incrementare la spesa corrente.
Negli anni in cui ho avuto la responsabilità della salute (e per alcuni mesi anche dei servizi sociali) questo è un tema che mi sono posto con forza, e su cui ho ispirato una risposta che si è fatta prima proposta e poi progetto.
Quali sono i cardini di questo progetto, che al momento costituisce l’unico serio tentativo – a mio avviso – di definire un nuovo modello di domiciliarità sostenibile?
1. La flessibilità: ci serve un sistema che vada oltre lo schema attuale in cui ci sono gli assistiti da una parte e i non assistiti dall’altra. Ci sono anziani che hanno esigenze di assistenza limitate ma che oggi restano fuori dal sistema di assistenza finché le loro condizioni non si aggravano: invece sarebbe meglio essere in grado di aiutare un poco anche chi ha poco bisogno, oltre che aiutare tanto chi ha tanto bisogno.
2. Il coinvolgimento del volontariato e dell’associazionismo: non in senso accessorio ma come veri protagonisti del sistema. Peraltro, se vogliamo rendere sostenibile lo schema, questo è un punto essenziale. E in cambio cosa dare? Non soldi, ma un servizio condiviso di cui possono usufruire anche per le loro attività sociale.
3. Tecnologia di punta, non sostitutiva del rapporto fra le persone ma al contrario orientata al supporto dei rapporti interpersonali, dotata di interfacce semplici da utilizzare da parte degli anziani di oggi (dunque tv e telecomando) oppure del tutto invisibili. E naturalmente capace di una vera e piena condivisione delle informazioni e del loro aggiornamento.
4. Possibilità di aggiungere facilmente (come semplici “plug-in”) servizi, sensori, dispositivi di telemedicina, naturalmente abbattendone in modo significativo i costi visto che l’infrastruttura di comunicazione ne costituisce ad oggi la voce maggiore.
5. Schema aperto ai contributi esterni, con una scelta architetturale che definisce con chiarezza i confini e le scelte tecnologiche, e sulla base di quelle scelte capace e pronta ad ospitare sia iniziative istituzionali che del privato sociale (e non solo).
6. Per avviare questo processo virtuoso, la priorità è la messa in rete, trovando anche le forme più opportune ed innovative di collegamento.
Abbiamo definito un progetto con queste caratteristiche. Lo abbiamo presentato ad un bando europeo col nome Oldes, ottenendo un finanziamento di 2,5 milioni dall’Unione Europea, che lo ha evidentemente ritenuto lungimirante.
Abbiamo avviato la sperimentazione in un quartiere di Bologna (Savena) coinvolgendo le associazioni delle anziani, che hanno aderito ed abbracciato il progetto con vero entusiasmo (vedi articoli sul periodico dello SPI).
In Europa abbiamo presentato il progetto in diverse occasioni, suscitando sempre molto interesse e in tanti ci hanno chiesto di vedere quali risultati saremmo riesce a raggiungere.
Insomma, io credo davvero che valesse e valga la pena di portarlo avanti con decisione. Invece, è accaduto che l’amministrazione Delbono non lo ha ritenuto degno di investimenti, stornando alcune voci che erano previste su di esso. Ed ora quel progetto, come molto altro, è nel limbo in attesa che si trovi un luogo dove decidere se e come continuare.
So che qualcuno penserà che “Paruolo sta difendendo il suo progetto”. Faccio notare che io non ho costruito sulle mie idee alcuna rendita di posizione, anzi al contrario ho regalato le mie idee alla mia città. Proprio questo mi mette però nelle condizioni di poter difendere con forza le cose in cui credo, che è quello che sto facendo. Ora, è possibile che altri abbiano una visione diversa, ma vi prego ditemela, spiegatemi, discutiamo. Ma non venitemi a raccontare che così com’è il sistema può reggere all’impatto del cambiamento demografico. Che basta parlare di bilancio per costruire un nuovo welfare. O che basta fare un po’ di telefonate o distribuire un po’ di telesalvalavita per ritenere di essere all’avanguardia sull’e-care. Andatelo a raccontare in Europa, e vediamo se riuscite ad ottenere un finanziamento di qualche spicciolo.
Ogni volta che ho parlato di questi temi mi sono sentito dire bravo, hai ragione, è proprio vero. Magari dalle stesse persone che poi al dunque dimostrano di avere altre priorità. La stanchezza della gente della politica nasce proprio dalla sensazione che ai politici non interessi davvero il da farsi, solo occupare la scena. Ecco perché ai tanti che parlano di Bologna come una città in declino, senza idee, vorrei dire che c’è di peggio. E il peggio è avere le buone idee in mano e non sapere nemmeno riconoscerle. Questo è esattamente il caso dello sforzo in atto che va sotto il nome del progetto Oldes, e che invito chi ha responsabilità in Comune e nella politica di riconoscere e sostenere.